Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 110 del 23/04/2009

IL DIBATTITO “Doc Sicilia? Un errore”

23 Aprile 2009
falgares falgares

IL DIBATTITO

Ospitiamo l’intervento di Guido Falgares sulla denominazione unica: “Verrebbe meno il concetto di terroir e sarebbe ignorata la provenienza delle uve. Dunque massificherebbe le produzioni e non sarebbe indice di qualità”

“Doc Sicilia?
Un errore”

di Guido Falgares *

Premetto che per denominazione s’intende “il nome geografico di una zona viticola particolarmente vocata”; con particolari caratteristiche del terroir: “La qualità di un vino è il risultato di una complessa interazione tra le condizioni climatiche, le caratteristiche pedologiche ed il comportamento del vitigno”.


Il termine “terroir” esprime in modo sintetico ed efficace le condizioni eco-pedologiche e colturali che sono alla base delle diversità e della originalità dei diversi vini prodotti in un luogo.
L’esposizione alla luce, la composizione del suolo, la tipologia della zona, la presenza di escursioni termiche nell’arco della giornata, la vicinanza di corsi d’acqua, sono tutti fattori decisivi per la personalità di un vino: addirittura i francesi hanno introdotto il “concetto” di “cru” con cui le sopracitate peculiarità vengono riferite al singolo vigneto.
Il concetto di terroir è stato ed è alla base delle direttive europee riguardo le denominazioni; sigla (Doc) che appunto non è indice di qualità ma di provenienza dei vigneti (iscritti nell’apposito albo) e, di conseguenza, di tipicità.
Ritengo, per questi motivi, che la Doc “Sicilia” sia scientificamente e culturalmente sbagliata. Ma questa Doc Sicilia e il suo Consorzio unico di tutela servono davvero? La creazione di una Doc fornita del nome del vitigno e del brand “Sicilia”, piuttosto che una già esistente Igt “Sicilia”, potrebbe contribuire al consolidamento del vino siciliano nel panorama internazionale e con quali linee di sviluppo, con quali strategie? Il vino rosso in bottiglia, ad un 1,20/1,40 euro, è molto cercato dal mercato, specie se fornito del nome del vitigno e del brand “Sicilia”.
Le grandi catene internazionali di imbottigliamento accetterebbero di promuovere e commercializzare una bottiglia (imbottigliata, e con maggiori costi, in loco) di vino Nero d’Avola “Doc Sicilia” (ma di quale parte del territorio siciliano?) i cui costi di produzione sarebbero più alti e i tempi burocratici più lunghi? Trasferirebbero parte delle loro catene d’ imbottigliamento in Sicilia? E in questi anni di transizione dalla Igt alla Doc, continuerebbero a comprare il vino siciliano? Come Igt o come Doc ?
I costi, poi, sarebbero scaricati sul vino e quindi sul cliente (il quale peraltro fa fatica a distinguere tra un vino a Igt e un vino a denominazione). Alla fine penso che si rivolgerebbero ad altri mercati (Puglia, Abruzzo.).
In questo disciplinare, poi, non ci sono elenchi di sottozone geografiche. Invece potrebbero essere inserite zone piccole, addirittura fattorie, vigneti, cantine (introdurremmo in tal modo un vero concetto portatore di qualità: il “cru”). Parlare di una Doc Sicilia così generica vuol dire massificare delle produzioni, vuol dire che si vuole fare un vino regionale di base con poco valore, vuol dire che si vuole cambiare per non cambiare nulla, vuol dire che gli interessi sono altri.
È certo che eccessiva quantità coincida spesso con scarsa qualità; ma quando i prezzi delle denominazioni arrivano a minimi inaccettabili, ci si domanda come è possibile che alcuni vini (a denominazione) abbiano potuto soddisfare le commissioni di degustazione? E allora quali garanzie possibili per un consumatore che col passaggio alla Doc dovrà pagare di più? La qualità di un vino non si impone per decreto e non può arrivare dalla applicazione di un disciplinare a indicazione geografica o a denominazione (i disciplinari sono già un po’ vecchiotti e mi pare che questo nuovo disciplinare per la Doc Sicilia non solo non porti qualcosa di nuovo e di interessante, ma vada addirittura bocciato.
Se La Doc “Sicilia” deve servire per migliorare la qualità dei nostri vini e per proteggerne la tipicità, posso non innalzare barricate. Ma la qualità è un impegno costante, una ricerca continua di miglioramento. Le Cantine sociali saranno in grado di diventare “imprese” ossia aziende imbottigliatrici, promotrici e commercializzatrici di una linea di qualità fornita del nome del vitigno e del brand “Sicilia”.
Le cantine dovranno essere supportate e accompagnate dalle istituzioni verso un vero processo di internazionalizzazione e ciò tramite la creazione di un marketing allargato che punti alla valorizzazione di uno specifico brand “Sicilia” dietro il quale ci dovrà essere: un vero ed originale modello viticolo ed enologico che possa prescindere dal tipo di vitigno, ma che parli la lingua del territorio di appartenenza.
La Regione Sicilia è economicamente in grado di affrontare questi problemi, che richiedono misure economiche molto, ma molto importanti? Ritengo che, in un arco di tempo non inferiore ai cinque anni, la formula di accompagnamento e di sostegno economico della Regione Siciliana dovrà essere un vero piano strategico programmatico che consenta ai produttori vitivinicoli di effettuare delle importanti scelte alla base delle quali ci dovrà essere: qualità, promozione, cooperazione e mercato.
Al termine di questi anni soltanto le cantine che avranno dimostrato la volontà e la capacità di intraprendere questo percorso virtuoso potranno con eventuali, se necessari, ulteriori aiuti economici,
essere definitivamente traghettate all’interno della “denominazione”.

* responsabile nazionale pubbliche relazioni Union Europèenne des Gourmets – Italia