Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 40 del 20/12/2007

LA RICERCA Uniti nel nome delle Doc

20 Dicembre 2007
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    LA RICERCA

Scarsa l’incidenza delle denominazione di origine nella produzione del vino siciliano. E da vitigno_ricerca_hp.jpgMonreale l’Istituto vite e vino lancia un appello ai produttori: “Bisogna fare sistema. Le aziende devono rappresentare l’immagine e la cultura del territorio”

Uniti nel nome
delle Doc

Al suo nome si associa il Duomo più bello del mondo. Dal 2000 è diventato anche sinonimo di una terra vocata alla produzione del vino di qualità. La Doc di Monreale è stata la diciassettesima denominazione di origine controllata ad essere riconosciuta in Sicilia. Una realtà che oggi si estende per 373 ettari e comprende i comuni di Piana degli Albanesi, Camporeale, San Giuseppe Jato, San Cipirrello, Santa Cristina Gela, Corleone e Roccamena.

Una produzione che supera gli ottomila quintali di uva l’anno e i 5.700 ettolitri di vino. La strada delle Doc sembra essere la prospettiva da seguire per il futuro della vitivinicoltura di qualità. Ciononostante, la Sicilia, continua ad essere caratterizzata da una scarsissima incidenza della denominazione sulla produzione totale del vino.
L’Isola, da un lato, negli ultimi anni si attesta fra le prime regioni imbottigliatrici in Italia, dall’altro lato, il primato è opposto per ciò che riguarda la produzione di marchi Doc e Docg. Solo il 3,5 per cento del vino siciliano si può infatti fregiare di una denominazione di origine, 249.500 su quasi 7 milioni di ettolitri prodotti lo scorso anno. Diversamente da altre regioni italiane, come il Trentino Alto Adige, che raggiunge l’83,4%, la Lombardia con il 65,2% e il Friuli Venezia Giulia con il 56,9. La Sicilia incide sulla produzione di Doc e Docg in Italia solo per lo 0,7%, l’Emilia Romagna si attesta al 13,2%, la Toscana al 18,1%, mentre la parte del leone la fanno il Veneto (23,2%) e il Piemonte 23,6%. Sintomo della scarsa valorizzazione della denominazione è l’esiguo numero di consorzi operanti nell’Isola. Oggi ne esistono solo nove. La scarsa produzione di vini Doc a favore degli Igt è imputabile a diversi fattori. Due i più importanti, la maggiore incisività del nome Sicilia sul mercato e i minori vincoli burocratici dell’Igt rispetto alle Doc.
leonardo_agueci.jpgCome promuovere allora la produzione di qualità? Se né è parlato nel corso di una tavola rotonda organizzata sabato 15 dicembre dall’Istituto Vite e Vino nel comune di Monreale.
“Per potenziare le Doc bisogna fare sistema – spiega Leonardo Agueci, presidente regionale dell’Istituto Vite e Vino –, anche a costo di sacrifici. Le aziende vinicole devono rappresentare l’immagine e la cultura del territorio”. Una strada stretta che richiede il rispetto dei disciplinari di produzione. Regole che impongono limiti non sempre compensati dai vantaggi legati al marchio. “La dicitura Doc di Monreale è poco incisiva – lamenta Francesco Spatafora, presidente di una delle aziende più rappresentative del consorzio di tutela vini Doc Monreale – non siamo riusciti a veicolare l’immagine del nostro vino in giro per il mondo”. Proprio le strategie di comunicazione sono tra i primi impegni che il consorzio ha messo in agenda per il 2008. “Abbiamo avviato un progetto per far conoscere la nostra zona – dice Mirella Tamburello, presidente del consorzio volontario per la tutela della denominazione di origine controllata dei vini Monreale. –. Oggi siamo una struttura operativa riconosciuta dal Ministero con regole precise che garantiscono la tracciabilità del prodotto e la tutela del consumatore. Cresciamo a piccoli passi”.
Diversa l’idea di Fabio Carlesi, direttore generale enoteca italiana di Siena “I consorzi devono essere delle macchine da guerra. In Toscana – racconta Carlesi – sono stati il motore principale del rilancio dei vini”. Porta la sua esperienza anche Francesco Ferreri, presidente del consorzio di tutela del Cerasuolo di Vittoria, promosso a Docg nel 2005. “Produrre una Docg, richiede sacrifici, e vuol dire prima di tutto fare qualità. Abbiamo deciso di venderci per quello che siamo”. Dall’incontro emerge quindi il ruolo di primo piano dei consorzi, strumenti operativi efficaci che danno centralità alle imprese e al consumatore. Consapevolezza che sembra prendere piede anche a livello comunitario da dove arriveranno nuovi fondi per la valorizzazione delle realtà territoriali attraverso i progetti Fesr, per lo Sviluppo Regionale e Fear Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale.

Ciro Frisco