Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 143 del 10/12/2009

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10 Dicembre 2009

La spedizione dei mille vignerons

Tre giornate di intenso scambio di conoscenze e culture, di tecnicismi e di speranze, consapevoli di essere in tanti e di poter superare i problemi insieme. Eccoli i vigneron, animo sensibile e grande coraggio nell’affermare a gran voce l’esigenza di cambiamento. E guai a chi tocca la loro terra. I giorni scorsi a Montecatini Terme, durante l’evento “Vignerons d’Europe”, si sono presentati all’appello circa mille vignaioli provenienti da tutta Europa, ben 20 paesi, dalla Georgia all’Austria.
Hanno assistito all’ incitamento di Carlo Petrini, che con la sua dialettica trascinante ha infiammato gli animi, hanno dibattuto pesantemente e spesso si sono scontrati a tra loro. I convegni sono stati gestiti in modo che vi fosse il rispetto del pluralismo delle voci, e ciò significa poco spazio ai relatori e grande intervento da parte dei vignaioli, che si sono avvicendati sul palco formulando quesiti ed aprendo problematiche. Una delle tematiche più scottanti trattate è la possibilità di agevolazioni economiche rivolte a chi lavora la terra secondo l’agricoltura biologica e biodinamica. È stato Petrini il primo a dire: “Oggi purtroppo viviamo in un mondo in cui è sempre più spesso il prezzo che fa il valore, e non il contrario. Noi abbiamo la capacità di distinguere il valore dal prezzo”, e ancora: “Non è concepibile che chi produce in biologico debba spendere dei soldi per certificarsi, e chi produce in modo irresponsabile può continuare a far ciò che vuole gratis”. In tema di additivi chimici, si è parlato di soglia dei solfiti aggiunti (lo zolfo è una sostanza particolarmente importante per la salute dei vigneti del nord Europa). Si è trattato del problema dei lieviti selezionati o indigeni e della larga diffusione di questi nel nostro paese. E poi uno sguardo al futuro, cioè a quando le denominazioni di ogni genere lasceranno spazio ad una sola di queste, la Dop, mentre il biologico diverrà l’unico modo per fare vino. Si è discusso, inoltre, di identità ed etica del vignaiolo e ne è emersa una figura da un lato sbiadita, perché non è possibile identificarlo né per produzione, né per lavorazione. Allo stesso tempo però, appare chiaro dinanzi agli occhi il vigneron, colui il quale fa del manifesto la sua bandiera. Eticamente invece, si è dato per scontato che è necessario riconoscere il vino come prodotto dell’uomo e non della natura, ma bisogna ricordarsi della tolleranza intesa come rispetto delle altre culture e del loro modo di concepire il vino. La trasparenza poi è dichiarare sempre cosa si fa senza nascondere nulla al consumatore.
I mercati di riferimento da valutare non sono quelli dei vini in brick di pochi euro, bensì quelli prodotti dalla mistificazione industriale, fatti passare per tradizionali.
Quanto è importante l’opera di bonifica della terra che i vigneron fanno coltivando il vino? Molto a giudicare dalle parole di Walter Massa dell’omonima azienda del tortonese che ha raccontato di come le frane e le alluvioni nascono proprio dall’abbandono delle terre.
Infine, è stato Ampelio Bucci, dell’omonima azienda marchigiana, a sollevare il problema della cultura, di come scomparirebbe se si eliminasse la territorialità al vino: “Non si fa cultura se non si fa agricoltura” ha detto. Mille e più sono i motivi per cui abbracciare questo tipo di cultura del vino, sia da produttori, che da consumatori, o per dirla alla slow food maniera “co- produttori”, sempre attenti a cosa ci viene proposto.

L.D.T.