Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 198 del 30/12/2010

CIBO E TRADIZIONE Il triangolo dello sfincione

30 Dicembre 2010
sfincione sfincione

CIBO E TRADIZIONE

Viaggio tra i produttori del cibo di strada tra Bagheria, Casteldaccia e Altavilla Milicia nel Palermitano. Ecco ricette e varianti

Il triangolo dello sfincione

Sulle pagine della cronaca è conosciuto come il triangolo della morte, teatro delle stragi di mafia compiute alla fine degli anni 80. L’areale di Bagheria, Casteldaccia e Altavilla Milicia nel Palermitano ci piace però pensarlo per una tradizione gastronomica diventata simbolo del cibo di strada made in Sicily: lo sfincione.

Immancabile nel capoluogo, nei banconi di forni, bar e panifici, presentato sulle teglie nelle diverse varianti, lo sfincione, quello originale nasce a Bagheria. E la ricetta è una sola. Ce la racconta Giuseppe Buttitta, bagherese doc e titolare del panificio Buttata di via Nino Bixio. Nato sotto il segno dello sfincione, figlio d’arte da 60 anni prepara la ricetta ereditata dal padre, anch’esso storico fornaio della cittadina. “Di sfincione ce ne è uno solo ed è quello di Bagheria – afferma con non poco orgoglio – . Non è fatto con la salsa, come erroneamente si pensa, e le sue caratteristiche sono l’impasto fatto con la pasta di pane e la mollica fresca”. Quest’ultima, come spiega Buttitta,  è il segreto, il cuore della focaccia. Si tratta di una sapiente mistura ricavata rigorosamente dalla mollica di una pagnotta di 4 giorni, lavorata con olio, con pecorino e abbondante cipolla. Il tocco d’arte sta poi nella cottura della cipolla”.
Il fornaio poi aggiunge una precisazione: “E’ importante che la cipolla sia ben cotta. L’impasto della mollica deve quindi venire molto morbido”. Ma ciò che rende saporito lo sfincione bagherese è l’impasto stesso. “Deve essere preparato rigorosamente con pasta di pane e poi condito, una volta steso sulla teglia, con acciuga sciolta e tuma fresca”. Lo sfincione sembra quindi essere esclusivamente una tradizione tramandata in famiglia. Così è anche per Giacomo Varisco, titolare di un panificio in via Pola. Ingredienti e procedura per il suo sfincione gli sono stati tramandati dai genitori. Lui lo prepara da 55 anni e come gli è stato insegnato l’anima dello sfincione è l’impasto. “Si fa con farina, acqua e lievito, un po’ di sale, zucchero e sugna”, dice il panettiere. Ingredienti canonici ma elaborati con una maestria d’altri tempi. La salsa invece è la formula segreta dello sfincione del panificio Gargano di Casteldaccia. A cucinarla è la moglie del titolare, Dorotea, che si sbottona sulla preparazione. “Si prende un kg di cipolla. La faccio cucinare nell’olio con le acciughe. Quando la cipolla diventa ben cotta aggiungo il pelato e lo faccio cuocere per molto tempo”. Tempi lunghi anche per la lievitazione dell’impasto. Anche se mangiato tutto l’anno, i custodi di questa specialità, confermano che la focaccia è invece una tradizione tipica natalizia. Contrariamente a quanto si pensi, non per la ricchezza calorica e del gusto che la caratterizza ma per la stagionalità. Lo racconta Giuseppe Buttitta: “Tutti gli ingredienti dello sfincione una volta erano reperibili solo nella stagione a ridosso del Natale. La tuma fresca da noi si produce in quel periodo”. Rigidi nelle loro ricette i fornai ammettono però solo una variante. Quella che fa capolino per la festa dell’Immacolata. In questo giorno la focaccia si veste di bianco e si ammanta di ricotta. Qualunque siano gli ingredienti che lo compongono, lo sfincione è oggi mangiato e apprezzato da tutti, soprattutto dalle nuove generazioni. Anche se diventati consumatori abituali, sui giovani Buttitta esprime un po’ di rammarico. “Lancio un appello ai giovani, abituati a pretendere le cose buone senza conoscerne l’origine o il significato. Li invito a informarsi su ciò che mangiano, a chiederne la storia, di cibarsi con più coscienza”. E per non far perdere quest’arte infatti Buttitta ha istruito a dovere il figlio ventiduenne. “Mio figlio adesso sa fare lo sfincione meglio di me. Si è appassionato. Sono tranquillo adesso che questa tradizione non si è spezzata”. 

Manuela Laiacona
 

Le foto sono di Manuela Laiacona.

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