Numeri Febbraio 2008
L’INTERVENTO Mille zolle blu

Mille zolle blu
di Diego Maggio *
Ritrovo, su un quotidiano del Nord, una perla tratta da La luna e i falò di un Cesare Pavese che più non frequento fin dalle mie letture giovanili: “Non c’è niente di più bello di una vigna ben zappata, ben legata, con le foglie giuste e quell’odore della terra cotta dal sole d’agosto. Una vigna ben lavorata è come un fisico sano, un corpo che vive, che ha il suo respiro e il suo sudore”.
Provo le stesse emozioni nelle mie camminate domenicali e solitarie tra le zolle di Birgi e di Chelbi, di Triglia e di Giummarella, di Marcanza e di Bellùsa (tutte “carni di primo taglio”, come mio padre definiva quei terreni). Giacimenti di una civiltà fatta di gente dalle genuine mani callose e dalla sincera faccia rubizza: le cui uniche divergenze consistevano nel discutere se innestare grillo piuttosto che catarratto, se cominciare la vendemmia prima o dopo la festa della Madonna Bambina, quante “cadute” doveva fare il Cristo della processione del Giovedì Santo…
I rispettivi paesaggi vitivinicoli tipici – da noi si chiamano ancora “fèudi”, come a rimarcarne la lontananza dai centri urbani – sono rimasti pressoché uguali a se stessi, anche se a crescente rischio di aggressione cementizia.
Alberello o spalliera, colline o pianure, bagli o castelli: le somiglianze (estensioni e tradizioni) sono tante quante le differenze (remunerazioni e prospettive). Ma in Piemonte – dove già tali scenari costituiscono un punto di forza economica in sé, ma anche attrattiva per i turisti che cercano conferma visiva della autenticità dei luoghi da cui hanno origine i prodotti che ne portano la denominazione – si sono dati da fare concretamente per porre Langhe, Roero, Monferrato ed Astigiano sotto la tutela dell’Unesco quale patrimonio dell’umanità. E l’intesa – consacrata in un protocollo appena firmato – ha visto uniti il Ministero dei Beni Culturali, quella Regione (a statuto “ordinario”) e le Province di quei territori a Docg.: che hanno fatto “sistema”, superando orticelli e gelosie campanilistiche.
Simile solidarietà istituzionale ha già consentito di far raggiungere un tal traguardo alla Val d’Orcia in Toscana, all’Alto Douro in Portogallo, alla zona di Saint Emiliòn in Francia, alla valle del Medio Reno in Germania. Ma anche – evidentemente – alla Matera dei Sassi e al Barocco della Val di Noto.
E bene faremmo a farci un giro in ognuno di questi altrove: per toccare con mano quali condizioni di sviluppo e di riscatto ha già determinato un tale alto patrocinio. Il tutto, grazie ad un “gioco di squadra”.
Capiremmo anche – forse – perché qui non si è riusciti ancora ad andare al di là di proclami, polemiche, astiose negazioni di primogenitura e comunicati-stampa di nuova appropriazione dei meriti ad ogni cambio di guardia. Troveremmo il rimedio – probabilmente – alla paralisi di procedimenti avviati da troppi anni e che già avrebbero dovuto esitare il riconoscimento e la tutela di patrimoni “a rischio” come le storiche “pietre” fenicio-latine di Mozia-Lilibeo e di Pantelleria, nonché dei loro inimitabili bacini vitienologici che vivono tutti una profonda crisi: culturale e colturale.
Una preghiera bi-partisan, dunque, a chi regge i municipi ed a quanti, fra aprile e giugno, occuperanno le sedie decisionali a Trapani, Palermo e Roma: volate alto! E, ogni tanto, calatevi le br… iscole e i carichi: non per giocare a “fotti compagno”, ma insieme in favore di tutta questa terra che vi avrà eletti.
* presidente dei Paladini dei vini di Sicilia
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