Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 200 del 13/01/2011

L’AZIENDA Quel vino strappato all’oblio

13 Gennaio 2011
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L’AZIENDA

Il Moscato di Saracena oggi esiste grazie alla cantina Viola. È un concentrato di due varietà: la Guarnaccia e la Malvasia aromatizzato con le vinacce di Moscatello. Ne circolano solo 7 mila bottiglie: a produrlo anche le donne

Quel vino strappato all’oblio

Antico, anomalo, unico vino ad essere presidio Slow Food, in giro ne circolano solo 7.000 bottiglie e a farlo oltre la natura sono anche le donne.

Il Moscato di Saracena è il vino strappato all’oblio da un maestro elementare in pensione cui si deve la rinascita di una tradizione che appartiene ad un’intera comunità: i 4500 abitanti del piccolo comune ai confini del Parco Nazionale del Pollino. Il nuovo papà del Moscato è Luigi Viola alla guida, assieme ai tre figli Claudio, Roberto e Alessandro, della cantina Viola. Senza di lui oggi questo vino non si ritroverebbe pluristellato dalle guide più autorevoli, eletto miglior vino dolce d’Italia ed oggi custodito da sei produttori riunitisi nell’associazione Moscato di Saracena da lui presieduta. Il patrimonio di questo angolo di Calabria può così continuare a fare la storia che già nel 500 lo ha visto protagonista delle cantine pontificie. Su questo vino non vi è intervento dell’enologo, solo la sapiente esecuzione di chi ha ereditato dalla famiglia la ricetta di preparazione.
Nasce da un mosto concentrato di due varietà la Guarnaccia e la Malvasia aromatizzato con le vinacce di Moscatello. “Qesto varietale, attecchisce dal punto di vista delle migliori caratteristiche qualitative solo nel territorio di Saracena, non altrove dove si è provato a coltivarlo con scarsi risultati”, racconta Claudio il più piccolo dei Viola, trentaduenne sociologo che ha deciso di seguire le orme del padre. A quota 400 metri, incastonati in un habitat incontaminato, battuto anche dalle brezze dello Jonio e caratterizzato da forti escursioni termiche, si trovano i terreni argillosi dove il Moscatello sembra avere trovato la sua unica dimora. I Viola ne coltivano solo 4 ettari. Non è però solo la culla d’origine a fare del Moscato di Saracena una perla dell’enologia calabrese, sono le persone, i luoghi dove queste uve si trasformano in vino e soprattutto la metodologia di vinificazione. Un rituale casalingo davvero d’altri tempi cui partecipa tutta la famiglia. “In ogni casa a  Saracena si è sempre prodotto questo vino, 50 litri per famiglia – spiega Claudio -. Talmente è una tradizione che il nostro consulente enologo, Alessio Dorigo, lo fa fare a noi limitandosi a dare qualche consiglio per la filtrazione e le analisi”.

Il procedimento parte con la bollitura del mosto di Guarnaccia e Malvasia vendemmiate ad ottobre anche se il clou della preparazione sta nell’appassimento del Moscatello. “Viene vendemmiato ai primi di settembre, raccolto a mano con estrema cautela per non rompere i chicchi, in ogni cassetta ne mettiamo al massimo venti grappoli”, spiega il giovane Viola. Una volta portati in cantina i grappoli vengono “impiccati”, così come dicono in gergo i produttori del luogo.

“Appendiamo ogni grappolo a delle reti modo tale che non rimanga a contatto con niente se non con l’aria e lo lasciamo appassire per tre settimane. Passato questo periodo arriva il momento più delicato che richiede molta esperienza: la selezione del chicco”. Questa fase è appannaggio delle donne, dai Viola a padroneggiarla sono Antonietta, Margherita, la signora Ida , la signora Cintia e la Lorina.


La Signora Cintia

Si dedicano alla selezione manuale dei chicci migliori, diraspando così il grappolo ed eliminando quelli più acidi, per poi procedere alla spremitura. Una modalità che può essere condotta solo da quelle mani che impastano ogni giorno pane e pasta. E infatti con questa stessa pratica le donne cominciano a spremere i chicchi, senza rompere il vinacciolo che deve apportare l’amaro, riducendoli a vinacce mielose che in seguito vengono tuffate nel mosto. “Ogni tre, quattro volte al giorno a noi il compito di rompere il cappello. Il nostro passito è l’unico ad avere una macerazione così lunga, di circa 6 mesi. È questa che conferisce al vino la dolcezza del fico, della frutta esotica, della pesca gialla e del miele ed anche la spiccata acidità che lo rende di facile beva”. Un vino per nulla stucchevole, molto delicato, un nettare naturale preservato da una produzione biologica in vigna ed in cantina e da una resa di 30 litri per 100 chili di uva. “Una poesia che racconta la storia di Saracena”, così come lo ha definito il produttore, dal valore di 30/40 euro allo scaffale. Del Moscato Passito di Saracena la cantina propone anche una grappa nata da un connubio con le Distillerie Giovi.

Manuela Laiacona