Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 202 del 27/01/2011

IL PERSONAGGIO Buon “quarumaru” non mente

27 Gennaio 2011
campanella campanella

IL PERSONAGGIO

Gioacchino Campanella è uno dei più antichi venditori di cibo da strada a Palermo. Da 30 anni col suo carretto offre i tipici “quarume” e “mussu”, quei sapori popolari che sopravvivono. “Mio padre e mio nonno facevano questo mestiere, ma loro erano ambulanti. Nel mio caso sono i clienti a cercarmi”

Buon “quarumaru” non mente


Gioacchino Campanella

Monta ogni giorno all’una con il suo carrettino, lo fa da 30 anni per deliziare con la “quarume” ( o caldume in gergo italianizzato) e il musso i clienti, ovvero gli amici della sua borgata natale.

Nel quartiere Capo, il cuore di Palermo, in piazza Beati Paoli, Gioacchino Campanella porta avanti la tradizione del quarumaro, una delle più antiche figure dispensatrici di cibo da strada. A questa specialità in brodo caldo, che lui stesso prepara secondo la ricetta originale e tramandata, nessun palermitano verace può rinunciarvi, quasi si trattasse di una rivendicazione culinaria della propria identità. Per lo più associata oggi ad una pietanza per stomaci forti, un tempo, come racconta lo stesso Campanella, “proprio con la quarume si veniva svezzati dalle mamme”.
Uno dei pochi pasti che  la gente del popolo poteva permettersi perché costituito dagli scarti del vitello: intestino tenue (in dialetto lo ziniaru), i due stomaci, la centopelli e il lampredotto (il quagghiaru). Ci si scaldava e soprattutto ci si nutriva così, con queste parti fatte bollire per più di tre ore in acqua insieme a patate, carote, sedano, cipolla e un pomodoro pelato. La modalità di preparazione Gioacchino l’ha imparata guardando i familiari e nel suo pentolone prende vita tutti i giorni della settimana, festivi compresi. È infatti una certezza per gli abitanti del quartiere e non solo dato che tra chi apprezza la sua quarume vi sono anche gli extracomunitari che abitano le vie vicine. Segno che la matrice alimentare di questo piatto seppur così caratterizzata territorialmente travalica i confini culturali. E non potrebbe essere altrimenti dato che arriva in Sicilia portato dagli Arabi. Da allora i palermitani la ricetta l’hanno appresa e fatta propria tramandandola ai propri figli. Campanella il titolo di quarumaro l’ha ricevuto per via paterna. “Mio padre, mio nonno e ancora prima di lui il bisnonno sono sempre stati conosciuti da tutti come i quarumari del Capo.


Cartilagini e nervetti, gli ingredienti del Musso

Io sono cresciuto con i miei genitori che mi tenevano in braccio mentre stavano alla pentola”, tiene a precisare la sua origine il venditore ambulante che però ambulante non lo è mai stato a differenza dei suoi. “Un tempo il quarumaro abbanniava, richiamava la gente dalle case con un canto,  e portava la pietanza per le strade della città. Lo faceva il mio bisnonno. Oggi non lo faccio, si è persa questa pratica. Sono i clienti che mi vengono a trovare”. E non solo per acquistare, a giudicare dalle persone che si raccolgono attorno al suo carretto, ma per trattenersi a degustare lì in piedi la quarume servita calda su un piatto, e nel frattempo chiacchierare. Tanto che la sua postazione sembra più un salotto a cielo aperto. Assieme al vapore del pentolone salgono su anche le battute che ci si scambia.
Con questa tradizione gastronomica si arriva a toccare con mano il valore di medium, di legame culturale che ha assunto il cibo in Sicilia. I sapori della Palermo popolare che ancora resiste non si esauriscono però solo alla quarume. Gioacchino prepara per i “manciatari”, tali si definiscono i palermitani a cui piace mangiare, anche il musso. Altra prelibatezza estrema se si pensa alle cartilagini e ad altre parti del vitello con cui è fatta, ma molto buona come professano gli intenditori. La carne della mascella (il masceddaru), i merletti (il musso), le cartilagini dello zoccolo, l’orecchio, il pene (u niernu), la lingua, bolliti e serviti freddi con abbondante limone spremuto e sale diventano un’insalata grassa e irresistibile. Un’esperienza cui sottoporre il gusto se si vuole capire davvero Palermo.

Manuela Laiacona