Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 65 del 12/06/2008

IL PRODOTTO Albicocche, sapore d’Oriente in Sicilia

11 Giugno 2008
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    IL PRODOTTO

L’arrivo nell’Isola e la diffusione di uno dei frutti più conosciuti nel meridione d’Italia
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Albicocche, sapore d’Oriente in Sicilia

Gustave Flaubert ne era così ghiotto che dedicò loro una voce del suo Dizionario dei luoghi comuni. Madame Bovary svenne per il loro profumo intenso dopo che il marito gliene cedette una in dono.

Le albicocche sono frutti deliziosi e antichi che vengono dall’Asia, le cui piante bene si sono adattate alle temperature miti e alle terre fertili del Meridione. In cucina sono usate per preparare torte, marmellate, creme, gelati, frullati, conserve sciroppate, e sono considerate ottime per preparare e guarnire gli arrosti di carne. Abbiamo intervistato Giuseppe Barbera, docente di Colture arboree all’Università di Palermo, che ci ha spiegato quali sono le varietà più coltivate nell’Isola
Il suo nome deriverebbe dalla parola araba “Al-barquq” e ancora prima dal latino “Praecoquus” che vuol dire frutto precoce. Per lungo tempo gli studiosi di flora biblica, dopo che l’accelerazione impressa da Darwin all’evoluzione delle scienze naturali aveva escluso che il melo potesse essere nativo della Palestina, lo ritennero l’albero del frutto del peccato coltivato nel giardino dell’Eden. L’albicocca o “Prunus Armeniaca”, come la chiamarono i Romani dopo che Alessandro Magno la scoprì in Armenia, è giuseppe_barbera65.jpgun frutto antico e delizioso che viene dall’Oriente. Furono Plinio il Vecchio nell’Historia Naturalis e Columella nel De Rustica i primi a citare questi frutti profumati con il nome dato dai romani, dando i fondamenti all’attuale nome botanico. Nella letteratura latina – come anticipato – sarà conosciuto come “Malum praecox” per la precocità della fioritura e della maturazione dei frutti che avviene tra la primavera e i primi caldi dell’estate.
Ai confini della Cina ancora oggi, tra le montagne del Tien Shan nelle regioni centrali dell’Asia, l’albicocco cresce selvatico e dà frutti piccoli, acidi ma commestibili. Niente a che vedere con i frutti che vengono prodotti e consumati in Sicilia, così dolci e profumati che vengono ricordati e disegnati in alcune storie medievali dell’Isola.
“L'albicocco arriva in Sicilia molto probabilmente in epoca romana – ci racconta Barbera -. L’albero viene subito apprezzato nei terreni siccitosi per la sua aridità e diffuso nei frutteti promiscui. Le prime notizie certe si riferiscono al XV secolo e provengono da Palermo dove veniva coltivato un barkoki ad ossa dulci. Più tardi nel XVII secolo nell'Hortus Catholicus di Cupani si fa riferimento a: Varcocu Valenzianu, Varcocu di la sciorta di la Riggina; Varcocu maiulinu. Ci sono quindi chiari riferimenti a varietà tradizionali ancora coltivate nei vecchi frutteti del palermitano: varietà Regina e Maiolino”. Il professore palermitano – autore di “Tuttifrutti”, un interessantissimo libro che, albero per albero, in maniera poetica descrive di ogni pianta da frutto il ruolo produttivo, ambientale, ma anche il ruolo nelle arti figurative e nella letteratura – aggiunge che una volta “era tipico il paesaggio degli agrumeti della Conca d'oro dove sopra gli agrumi si alzavano grandi piante di nespolo del Giappone e di albicocco maiolino”. Queste piante sono però praticamente scomparse. Oggi in Sicilia si coltiva con successo la varietà precoce Ninfa che sostituisce la Tyrinthos perchè molto produttiva e, soprattutto, di qualità accettabile nonostante la precocità. È anche in coltura la Portici, di origine napoletana.
A livello nazionale le varietà napoletane (Portici, San Castrese, Vitiello) sono ancora le più diffuse tranne in Emilia Romagna dove sono diffuse la Antonio Errani e la Bella d'Imola. “Allo stato dell’arte sono alla prova nuove varietà come la “Spring blush” o la “Lilly Cot” di origini straniere potenzialmente molto buone – conclude il docente siciliano – anche se ancora i risultati sono incerti e prima di sostituire le varietà tradizionali sarebbe bene pensarci due volte”.
L’albicocco appartiene alla famiglia delle Rosacee e – per intenderci – allo stesso genere dei frutti come la ciliegia, la pesca e la prugna. Tra le varietà più coltivate in Italia ci sono la Monaco, la Baracca, la Reale di Imola, la Luizet, la Pesca di Nancy, la Precoce Cremonini e la Val Venosta, ma le migliori sono quelle che crescono e maturano all’ombra del Vesuvio come la Cafona, la Boccuccia, la Palummella, la Pelese di Giovaniello, la Fracasso o la Pellecchia, per citarne alcune delle quaranta coltivate in Campania. I frutti si differenziano per il gusto della morbida polpa, per la grandezza, per il colore che può andare da giallo chiaro ad arancione scuro e per la consistenza della buccia sottile e vellutata.
albicocca65.jpgNella storia degli usi agricoli e delle abitudini alimentari, è sempre stato considerato un frutto difficile da trasportare, che una volta concedeva solo a chi lo coltivava il goloso privilegio di mangiarlo appena raccolto; in città arrivavano le conserve, marmellate e i frutti seccati al sole. Solo con lo sviluppo dei trasporti è le albicocche sono state immesse nei circuiti dei grandi mercati ortofrutticoli urbani.
I frutti sono ricchi di fibra e forniscono all’organismo un indice di sazietà abbastanza elevato. Per tal motivo sono indicati per gli spuntini o alla fine di un pasto frugale. Contengono un buon contenuto di calcio, potassio, carotene e vitamine, proteine e zuccheri. Dai nutrizionisti l'albicocca è considerata un frutto ricostituente ed energetico che ha anche proprietà lassative, favorite dalla presenza di uno zucchero chiamato sorbitolo. Dagli inizi del ‘900 l’industria conserviera utilizza le albicocche per produrre succhi, sciroppi e mostarde per accompagnare i formaggi. Molto diffusi sono i frutti tagliati a metà, disidratati e denocciolati che sono di un colore arancione molto acceso, dovuto al trattamento con diossido di zolfo.
Il suo lungo cammino dall’Oriente è stato cantato dai poeti, i suoi rami fioriti fissati sulle tele dei pittori, l’albero dell’albicocco con i suoi frutti precoci ha trovato spazio anche tra i versi del Riccardo III di Shakespeare, nelle opere di Carlo Emilio Gadda e in quelle degli autori latini. Oggi nelle cucine di tutto il mondo, specie in America, Italia, Francia, Spagna, Grecia e Turchia, le albicocche sono usate per preparare torte, marmellate, creme, gelati, frullati, conserve sciroppate, e sono considerate ottime per preparare e guarnire gli arrosti di carne.

Junio Tumbarello