Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 18 del 19/07/2007

LA PROVOCAZIONE: Wine maker, la moda è finita?

18 Luglio 2007
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    LA PROVOCAZIONE

cantina.jpgHanno contribuito a far grandi le aziende siciliane, ora il loro impiego sembra essersi ridotto. Le opinioni di sei produttori siciliani sull’importanza della presenza di un enologo esterno nelle loro aziende

Wine maker,
la moda è finita?

I numeri da record danno da pensare. Un fenomeno unico quello della Sicilia, la superficie più vitata d’Italia, 455 aziende, un trend positivo e in continua espansione, un panorama dinamico in costante evoluzione. Sulle ragioni di questo mutamento di pelle della viticoltura siciliana e delle aziende enologiche si sono ampiamente soffermati gli esperti del settore che hanno sottolineato come questa trasformazione abbia attirato firme di prestigio e investimenti dal nord.


E così oggi la Sicilia possiede un capitale qualitativo che le permette di essere presente nelle fasce più alte dell’imbottigliato ma anche dello sfuso di qualità. A questa trasformazione hanno contribuito diverse figure che hanno cambiato i connotati di molte aziende, tra cui quella del wine maker. Ma non tutte le aziende hanno impiegato lo stesso know-how e c’é chi di queste figure professionali, altamente richieste sul mercato, ha fatto a meno. E allora, é lecito domandarsi, il wine maker é ancora una figura essenziale? Il quesito é stato girato ad alcuni produttori isolani.
casavecchia.jpg“Il wine maker è un operaio specializzato – sostiene Mark De Grazia, dell’azienda Tenuta delle Terre Nere di Castiglione di Sicilia – ma nell’equazione di chi fa il vino è preceduto da vari fattori: la vigna, innanzitutto, e chi la coltiva, poi il proprietario e i modi di gestire i vigneti che devono essere curati in modo impeccabile. Certo, se ha lavorato in vigna ed ha maturato una considerevole esperienza è sicuramente un valore aggiunto, ma viene solo dopo. La mia opinione è che il produttore deve spiccare il volo da solo. Direi che il migliore wine maker è quello che non fa notare la sua mano in azienda, ma non è una pedina fondamentale”.giusto_occhipinti2.jpg
“Bisogna intanto intendersi sul ruolo del wine-maker – esordisce Carlo Casavecchia, direttore generale della Corvo Duca di Salaparuta -. Un tempo questa figura riassumeva il ruolo di un consulente che migrava di azienda in azienda, testando la qualità dei vini e dava i giusti consigli per migliorare il prodotto. Ma è bene che questo capitale non si disperda nelle varie aziende. Io, ad esempio, preferisco seguire tutte le fasi della produzione, a cominciare dalla scelta del vigneto, un processo che permette di arrivare all’eccellenza, al raggiungimento delle più alte vette qualitative. Avete notato che troppo spesso si parla delle cantine come strutture architettoniche, disegnate da architetti di grido e poco della materia prima? Bene, intanto bisogna pensare ai vigneti, poi a tutto il resto. Ma il wine-maker deve avere anche un occhio di riguardo ai rapporti con i diversi comparti dell’azienda e stia attento anche agli aspetti della comunicazione. Solo così potrà emergere e sarà premiato chi ha alle spalle tradizione ajello.jpge innovazione”.
“Sì, avere in azienda qualcuno che ha accumulato esperienze in tutto il mondo può dare degli input positivi rispetto a quello che si fa giorno per giorno – sostiene Dino Taschetta, della cantina sociale Colomba Bianca di Salemi -, soprattutto nel nostro caso in cui forniamo gli imbottigliatori. Il wine maker una figura eccessiva e dispendiosa? Non direi proprio, quando si investe sugli uomini e sulle professionalità si fa sempre centro”. Sulla stessa lunghezza d’onda Giusto Occhipinti, dell’azienda Cos di Vittoria: “Ma certo che il wine-maker ha un ruolo insostituibile – dice – ma è sbagliata laalessandro_foraci.jpg domanda perché tutto dipende da quello che cerca un’azienda, da quello che offre e dall’approccio che dobbiamo avere. Perché se dobbiamo considerare il vino come la fotografia di un’annata, bella o brutta che sia, il vino avrà determinate caratteristiche. Ma ci sono aziende per le quali questa filosofia non va bene e nelle quali vige il rispetto dell’adeguamento a standard costanti. Tutto dipende dall’approccio che si vuole avere. Parafrasando quest’ultimo caso è come se il medico dovesse controllare il paziente”.
“Un wine maker come lo intendo io – dice Salvatore Ajello, dell’omonima azienda di Mazara del Vallo – deve essere in grado di intervenire su tutti gli aspetti organizzativi dell’azienda, dalla scelta del vigneto agli aspetti della comunicazione. È una figura necessaria se si vuol fare il salto di qualità”. Della stessa opinione è Alessandro Foraci, titolare assieme ai fratelli di un'altra cantina di Mazara del Vallo. “Il wine maker rimane una figura importante, ma non deve sovrastare l’azienda. È uno dei fattori che concorrono al successo e all’affermazione del prodotto sul mercato, ma questo successo è fatto di tante componenti, dalla scelta delle uve alle maestranze, alle tecniche di vinificazione. È uno dei fattori che concorrono al successo e che tiene alto il profilo qualitativo di un’azienda, ma non è il fattore”.

Mario Pintagro