Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 8 del 10/05/2007

PER BACCO: Se il vigneto impoverisce il territorio

10 Maggio 2007
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    PER BACCO

La meccanizzazione può sconvolgere le piante. I nuovi sistemi hanno determinato un decadimento qualitativo perché si cerca di far produrre esageratamente la vite. Inoltre vi è lo spreco delle risorse idriche ed energetiche

Se il vigneto impoverisce
il territorio

Con questo articolo Salvo Foti, enologo e grande conoscitore dell'Etna e dei suoi vini, comincia la collaborazione con Cronache di Gusto.


vigneti.jpgI nuovi sistemi di vita, la maggiore conoscenza, lo scambio di merci e informazioni a livello globale, macchine più potenti e industrie più agguerrite: ciò che in una sola parola può definirsi “progresso”, a partire dal dopoguerra, ha stravolto e modificato ogni ambiente e attività umana. In molti casi il progresso ha portato benefici enormi all'umanità, in altri ha trasformato intere zone, modi di vita, sistemi agricoli da secoli adattati ed in equilibrio con il territorio. In certe regioni italiane si sono visti cambiamenti colturali repentini, resi possibili grazie all'impiego di potenti macchine, che hanno addirittura modificato l'orografia di vaste zone: lo scopo principale era l'introduzione dell'irrigazione e di nuove colture intensive finalizzato alla quantità, determinando alla fine uno sfruttamento intensivo e sconsiderato del suolo. Quest’ultimo è stato, in alcuni casi, inaridito al punto da divenire completamente sterile. Perfino la politica comunitaria in questo campo si è rivelata ottusa, permettendo prima la produzione incontrollata e poi la distruzione, per il mantenimento del reddito minimo agli agricoltori, di quantità enormi di prodotti agricoli, vino compreso.
Entrando nello specifico del settore vitivinicolo possiamo dire con certezza che si sono registrati in questi ultimi 40 anni degli stravolgimenti produttivi. La viticoltura è stata abbandonata o drasticamente ridotta in zone altamente vocate ma poco produttive, dove spesso aveva anche un’azione di mantenimento del territorio, per essere introdotta in territori non vocati che prima erano destinati a colture cerealicole e leguminose; qui, con l'impiego dell'irrigazione e dei concimi chimici, si sono diminuiti i costi di produzione e aumentate enormemente le quantità dell'uva prodotta per unità di superficie, a discapito della qualità. Ci si è così ritrovati con quantità enormi di vino di scarsissima qualità. Nell'allevamento del vigneto si è passati da forme di potatura basse e potate corte (di origine greca) a forme di allevamento alte e potate lunghe (di origine etrusca), con elevate cariche di gemme e di grappoli. Questi sistemi di allevamento alti ed espansi richiedono acqua ed azoto ed hanno pertanto una vigoria elevata, ciò che conduce a tessuti più vulnerabili alle malattie, agli insetti ed agli stress idrici. È dimostrato che le concimazioni azotate e le irrigazioni diminuiscono la sintesi delle fitoalexine, cioè delle sostanze naturali impiegate dalla vite per resistere ai parassiti vegetali. Al contrario il potassio, a dosi corrette (senza cioè creare antagonismo e carenza con il magnesio), aumenta questa sintesi. Per ciò che riguarda i trattamenti antiparassitari si è passati esclusivamente all'utilizzo dei prodotti di sintesi, sicuramente efficaci, ma molto specifici. I prodotti a base di rame, drasticamente abbandonati, determinavano la formazione di cuticole più spesse ed una protezione migliore contro alcune malattie che sono recentemente divenute virulente, quali il mal dell'esca e l'escoriosi, che all'epoca della poltiglia bordolese erano malattie rare ed innocue.
È da tutti, oggi, riconosciuto che la viticoltura da vino di alta qualità, nella maggior parte dei casi, impone delle condizioni di coltivazione della vite che possono riassumersi nell'alta densità d'impianto di viti per ettaro. La filosofia produttiva è quella di far produrre poco frutto per ceppo di vite. Quindi potature cosiddette corte e povere che, per l'ambiente mediterraneo, significa soprattutto allevamento ad alberello. Nelle zone siciliane ad elevata vocazione viticola l'alberello è senza ombra di dubbio il sistema migliore per la qualità dell'uva da vino, ma esso è quasi impossibile da meccanizzare, molto costoso e sempre più difficile da praticare per mancanza di manodopera. Cinquant’anni fa densità d'impianto di 8-10.000 viti per ettaro erano la norma per i vigneti siciliani; oggi, sebbene sia possibile trovarne qualche isolato esempio in Sicilia Orientale (zone dell'Etna, del Ragusano, di Pachino), sono diventate un'eccezione.
Negli ultimi decenni la volontà di meccanizzare la viticoltura ha infatti portato i produttori ad introdurre nuovi sistemi di allevamento adatti alle trattrici agricole in commercio. Si sono così modificati i sistemi tradizionali in nuovi tipi di allevamento che hanno dimezzato (spalliera) e addirittura decimato (tendone) il numero di viti per ettaro. Questo vuol dire che 100 quintali di uva per ettaro non si producono con 10.000 piante, cioè a dire un chilo a ceppo, ma, con forte discapito della qualità, anche con sole 1.000 viti, cioè 10 chili per pianta.
È significativo un rapido confronto con quanto è invece avvenuto in Francia, dove invece di adattare i vigneti ai trattori si sono adattati i trattori ai vigneti in modo da non alterare assolutamente il rapporto quantità di uva per ettaro/numero di ceppi per ettaro, che è indubbiamente sinonimo di qualità per l'uva da vino.
Si comprende immediatamente come la meccanizzazione e l’obiettivo primario della quantità, abbiano sconvolto, in Sicilia e in altre regioni italiane, la stessa fisiologia della pianta che ha di conseguenza avuto bisogno di interventi esterni (irrigazione, concimazioni), senza i quali è quasi impossibile, nel nostro ambiente caldo arido, la sopravvivenza stessa della vite così allevata.
Questi nuovi impianti si possono dunque considerare dei sistemi di forzatura produttiva della vite, e hanno determinato un enorme decadimento qualitativo, non solo perché si è cercato di far produrre esageratamente una pianta di vite, ma anche perché contestualmente si sono privilegiati vitigni altamente produttivi, di scarsissima qualità enologica. E se questo è un aspetto negativo evidente e immediato di questo tipo di viticoltura, ve n'è un altro indiretto dovuto allo spreco delle risorse idriche ed energetiche impiegate per prodotti che tra l'altro sono in parte destinati alla distillazione.
A tutto ciò va aggiunto un altro fenomeno molto più preoccupante: quello della progressiva sterilizzazione (desertificazione) dei suoli a cui concorrono diversi fattori, alcuni di origine planetaria (aumento della temperatura), altri specifici, quali la bassissima dotazione in sostanza organica del terreno non più concimato con sostanze organiche, l'erosione superficiale, l'aumento della concentrazione della salinità del terreno dovuta proprio all'utilizzo continuativo di acque irrigue di falda.
La lotta alla desertificazione comporta una lungimiranza politica davvero notevole in quanto gli interventi di oggi avranno benefici futuri, lontani nel tempo, ed in una società predisposta e gestita per gli effetti ed i profitti immediati (tutto e subito), diventa difficile pensare e far accettare, a tutti, dal politico all'uomo della strada, investimenti che sono solo a lunga e lunghissima scadenza.

Salvo Foti