Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 9 del 17/05/2007

LA CURIOSITÀ: Cosa mangiano i giapponesi

17 Maggio 2007
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    LA CURIOSITÀ

Mentre in Italia impazza la moda del sushi scopriamo la “cucina più spirituale del mondo”, dove anche i cibi hanno un significato simbolico. La Kaiseki comprende i piatti più raffinati, mentre gli impiegati, finito il turno di lavoro, s'incontrano all’izakaya. Tanto spazio dedicato al sashimi, il pesce crudo

Cosa mangiano i giapponesi

Nessuno degli aspetti più famosi della cultura giapponese, dalla cerimonia del tè al giardino, dal teatro Noh all’ikebana, e persino alle arti marziali e al sumo, è esente da una fortissima carica spirituale. Il cibo non fa eccezione a questa regola: secondo Fosco Maraini, il grande etnologo poeta scomparso nel 2005, quella giapponese è la “cucina spiritualmente più raffinata del mondo”.

cibo_giapponese.jpgL’estetica ha grande importanza in Giappone, un paese dove i ciliegi sono solo ornamentali, e un buon pasto consiste in decine di minuscole porzioni, ciascuna graziosamente sistemata su piattini di originalissime forme e dimensioni. Non solo le forme ma anche le superfici delle ceramiche e delle porcellane sono interessanti: la raffinatezza dei giapponesi può arrivare al punto da alternare il liscio e il ruvido a secondo del cibo che viene servito. Il famoso cuoco Kitaoji Rosanjin (1883-1959) fu anche ceramista e diventò famoso per creare personalmente i piatti per il suo ristorante, tutti diversi fra loro.
Sushi, certo, ma anche molto di più: esistono diversissime tipologie di ristoranti in Giappone, spesso specializzati a secondo degli ingredienti e dei modi di cucinare: kaiseki è la cucina più raffinata e costosa, che deriva da quella associata alla cerimonia del tè e che ebbe origine nei monasteri zen dell’antica capitale Kyoto. L’izakaya (sake shop) è il pub giapponese, dove i sararimen (impiegati sempre in giacca e cravatta, dall’inglese salarymen) vanno ogni sera con i colleghi all’uscita dell’ufficio a bere sakè (vino di riso) a gogò, e dove spesso si mangia ottimamente e a buon mercato. Shabu shabu e nabe forniscono tutti gli ingredienti ai clienti per dare loro la possibilità tutta giapponese di cucinarsi il cibo al proprio tavolo su speciali piastre elettriche o in tegami di cotto con fornelli a gas portatili. L’okonomiyaki (“cucina ciò che vuoi”) è un locale specializzato in una sorta di gustosa pizza-frittata, anch’essa cotta sulla piastra, mentre yudofu e unagi offrono infinite variazioni di un ingrediente principale, rispettivamente tofu (formaggio di soia) e anguilla. E in molti ristoranti lo spettacolo principale consiste proprio nel guardarsi in giro: lo chef che sul lungo bancone taglia, cucina e sistema i cibi con grande velocità e perizia, le cameriere in kimono che adagiano con cura i piccoli capolavori sui bassi tavolini. L’odore del tatami (stuoie di erbe lacustri fissate al pavimento in legno) e la vista del giardinetto interno, fanno il resto nel rendere la visita a un ristorante tradizionale giapponese un’esperienza unica.
Molti cibi hanno significato simbolico e vengono mangiati a scopo augurale; ciò è particolarmente vero in occasione del Capodanno (shogatsu), quando tutti i giapponesi mangiano uova di pesce (simbolo di abbondanza), gamberi (simbolo di longevità per la loro forma ricurva) e così via dicendo. Il re della cucina giapponese rimane comunque il sashimi, il pesce crudo, anch’esso sempre sistemato con grande senso estetico, così squisito da chiedersi che bisogno ci sia mai di cucinare il pesce.
Certo, bisogna ammettere che a volte c’è il serio rischio che l'unico senso che venga veramente soddisfatto mangiando in Giappone sia l'occhio. Il palato è solleticato ma mai completamente soddisfatto perché, mentre cerchi di aggiustare la lingua al sapore, la porzioncina è finita e non puoi riprovare. Siamo proprio agli antipodi dalla filosofia dei siciliani per i quali, obbedendo all’imperativo categorico dell’abboffata, normalmente la pancia deve essere sempre piena, e le piante servono solo se si possono mangiare.

Marcella Croce