Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 105 del 19/03/2009

VIVERE DI VINO “Sicilia ti odio, ti amo”

19 Marzo 2009
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VIVERE DI VINO

altFabio Rizzoli, amministratore delegato del gruppo Mezzacorona, racconta il suo rapporto con l’Isola e i suoi progetti per il futuro: “Venti milioni di bottiglie entro 4-5 anni”

“Sicilia ti odio,
ti amo”

Sicilia amore e odio, piena di contraddizioni, di paesaggi mozzafiato, di un sole unico ma con una burocrazia che può toglierti ogni entusiasmo e ogni speranza. Fabio Rizzoli si definisce un “trentino chiacchierone” parla di una terra che l’ha stregato e insieme di uffici che hanno rischiato di fargli passare la voglia.

Lui da amministratore delegato di Mezzacorona gestisce 3.500 ettari di vigneto, è in Sicilia dal 2001 quando ha deciso di investire su Feudo Arancio, nel territorio di Sambuca di Sicilia (nelle campagne di Agrigento), e poi ancora nel 2003 con l’acquisizione di un’altra tenuta ad Acate, terra del Cerasuolo di Vittoria. Il suo gruppo nel 2008 ha sviluppato un fatturato consolidato di quasi 140 milioni, una decina in più dell’anno precedente, con un aumento del 7 per cento e un patrimonio netto che supera 79 milioni di euro, anche questo un dato in crescita rispetto al 2007.

Rizzoli, cominciamo dall’inizio. Chi gliel’ha fatto fare?
“In Sicilia le opportunità di investimento c’erano e ci sono. Si tratta di impostare bene gli investimenti e vocarli nel medio e lungo periodo. Sono molto contento di aver fatto questo passo, anche se ci sono molte difficoltà. Ma le gioie sono più degli affanni”.

Fa una classifica degli affanni?
“Se vado nelle altre zone italiane non si parla mai degli abitanti. Mentre in Sicilia non si può non parlare del sole siciliano, quando guardo il sole a Trento mi rendo conto che è diverso. Chi viene in Sicilia capisce che esiste il mal di Sicilia determinato anche dagli innumerevoli problemi territoriali e sociali che si possono incontrare, che ti portano a odiare questa terra. Il tanto odio, però, come per le donne, alla fine ti porta all’amore”.

Che differenza c’è tra la situazione trentina e quella che ha trovato in Sicilia?
“Impossibile un confronto. Se solo si guarda quanto è stato investito nel marketing nel Trentino e quanto si fa qui.”.

Può scendere nel dettaglio?
“Tutta la filiera del vino siciliano fa investimenti ridicoli. Ci vuole uno sforzo grosso. E gli imprenditori lo faranno. In Sicilia ci sono menti e imprenditori bravi per fare bene ma ci vuole ancora del tempo”.

Gli spazi ci sono?
“La viticoltura siciliana è sette volte più grande di quella trentina, la Franciacorta non ha nemmeno l’uno per cento della produzione siciliana. Le performance che abbiamo sviluppato in Sicilia sono le più grandi del nostro gruppo. Qui, fra quattro-cinque anni, faremo venti milioni di pezzi. Vuol dire affermarsi fra i primi tre o quattro gruppi nell’Isola e vuol dire anche avere intorno un territorio che si affermerà nel mondo. Noi in Sicilia siamo già a 7,5 milioni di bottiglie vendute nella fascia alta del mercato”.

Conta di più la qualità o il marketing?
“Il marketing è la scienza che studia attraverso il consumatore cosa il consumatore chiede. Le analisi seguono questo schema: prodotto, packaging, distribuzione, rete di aziende. Come vede la qualità è la base essenziale per il successo. Il marketing non può prescindere dal partire da un prodotto eccellente. Ma l’alta qualità, da sola, non basta. Se si fa un buon vino e nessuno lo sa a che serve? Qualcuno l’ha capito, basta guardare le meraviglie che hanno fatto le aziende siciliane nel confezionamento. Devo far loro i miei complimenti”.

Voi puntate molto sulle esportazioni. Il mercato estero offre più possibilità o è solo una questione di numeri legati ad una piazza più ampia?
“Il 90% della nostra produzione siciliana va all’estero. Per noi non c’è un mercato nazionale e uno estero. Siamo ovunque e spingiamo ovunque. Si parla tanto di India e Cina ma sono Paesi dove i consumi sono irrisori. I mercati importanti per il momento sono quello americano e quello tedesco”.

Fare sistema. In Sicilia non sembrano crederci in molti come invece avviene in altre parti d’Italia, vedi Franciacorta. Lei?
“Già la proposta di una Doc unica è un tentativo di far sistema. Mi sono battuto molto con Planeta su questo fronte: questa novità è un’occasione ma non deve far paura agli imprenditori con l’introduzione di limiti troppo restrittivi. Siamo arrivati a questo progetto un po’ tardi però ci siamo arrivati”.

Voi che ruolo avrete?
“Io già 41 anni fa lavoravo con le Doc. Saremo protagonisti, saremo fra chi traina e non sale sul carro dei vincitori. Poi verrà il momento di vedere se noi imprenditori, ma anche gli enti pubblici, sapremo utilizzare un marchio territoriale importante come la Doc siciliana”.

Come le sembra lo stato di salute del vino siciliano?
“I vini siciliani sono cresciuti enormemente in qualità e hanno ancora altissime potenzialità. In generale il settore ha enormi difficoltà ma quello siciliano non soffre di quella crisi congiunturale di altre zone. Non avendo mai avuto le grandi gioie del passato, adesso non ci sono le sofferenze”.

Cosa pensa del Nero d’Avola? Un’occasione mancata o ci sono margini di crescita?
“Bisogna puntare ancora su questo vitigno ma deve diventare grande e si deve migliorare la varietà. È di certo uno dei punti di forza della viticoltura siciliana. Noi ci crediamo per la sua capacità di rappresentare bene la viticoltura del territorio”.

Qual è il futuro del vino siciliano?
“Arrivare a una produzione di 4-5 milioni di ettolitri di vino di alta qualità, ovvero 500 milioni di bottiglie, significherebbe raggiungere un quantitativo che potrebbe fare la ricchezza della Sicilia in integrazione con agroalimentare e turismo”.

E nel futuro di Mezzacorona cosa c’è?
“La Sicilia ci deve lasciar lavorare”.

In che senso?
“Da quando siamo arrivati in Sicilia abbiamo superato tanti problemi, persino quello dell’acqua, ma quando ci si impasticcia nella burocrazia statale è molto complicato lavorare. Non per questo siamo demoralizzati ma è difficile far programmi a medio e lungo termine. Per gli sforzi fatti i risultati non sono pari. C’è qualcosa che non sembra andare per il verso giusto. Si rischia di smorzare tutte le iniziative e gli entusiasmi”.

Marco Volpe