Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 34 del 08/11/2007

LA CUCINA DEL FUTURO “Omologazione al bando”

07 Novembre 2007
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    CUCINA DEL FUTURO

Il “cronista della gastronomia” Edoardo Raspelli: “Quarant’anni fa le donne cucinavano per 4 ore al giorno, raspelli_hp.jpgoggi si scongela per 40 minuti al giorno. Anche a casa mia. Rischia di esserci confusione tra ‘le cose’ e ‘quali cose’”

“Omologazione
al bando”

Gli anni della giovinezza passati a raccontare ai lettori fatti di cronaca nera hanno forgiato e affinato la sua sensibilità, la sua capacità di andare oltre le cose. Ed è a quel tipo di esperienza che Edoardo Raspelli pensa quando si definisce un “cronista della gastronomia”. Eh sì, perché a lui la definizione di “critico gastronomico più severo d’Italia”, guadagnata negli anni per aver parlato con eguale schiettezza di buoni e cattivi, sta stretta.

“Il mio modo di parlare di gastronomia è diverso dagli altri – spiega –, perché non racconto per esteso solo ciò che ho mangiato. Non mi limito a dare voti senza emozioni. Io racconto l’ambiente, il calore umano, come il cliente viene trattato in un ristorante o in un albergo e lo faccio con schiettezza e con la sensibilità professionale che deriva proprio dall’esperienza maturata come cronista”.
Come immagina la cucina del futuro?
“La sto vivendo sulla mia pelle. Nelle nostre case si mangia in modo sempre più omologato. Quarant’anni fa le donne cucinavano per quattro ore al giorno. Oggi si scongela per quaranta minuti al giorno perché c’è sempre meno tempo. Anche in casa Raspelli si scongela almeno una volta al giorno… Questo porta inevitabilmente all’omologazione dei sapori. Nei ristoranti, invece, bisogna fare una distinzione tra quelli che cucinano per giornalisti e critici gastronomici e quanti invece valorizzano gli ingredienti del territorio. I primi tendono a scioccare, a stupire, seguendo la linea del cuoco spagnolo Adrià (il suo mone è spesso associato alla gastronomia molecolare, ndr) per intenderci. Gli altri, invece, e sono in pochi, cercano di portare avanti le tradizioni locali valorizzando i piatti del territorio. La cucina dovrebbe seguire questa direzione”.
Secondo lei è l’omologazione, dunque, il pericolo più grande per la nostra cucina?
“Che fosse il rischio più grande io lo affermavo già dieci anni fa. Per un periodo, poi, sembrava che ne fossimo usciti, ma ora mi rendo conto che non è così. La verità è che la cucina italiana sta molto male”.
C’è il rischio che ci siano alimenti sempre meno usati in cucina?
“Spero di no. Rischia però di esserci confusione tra le cose e quali cose. Intendo dire che la gente, molto spesso, non ha la possibilità di capire la differenza tra i vari prodotti. Tanto per fare un esempio, c’è un abisso tra l’aceto balsamico tradizionale e l’aceto balsamico. La differenza è tutta concentrata nella parola “tradizionale”, ma quanti lo sanno? L’informazione, invece è fondamentale”.
Le contaminazioni, secondo lei, sono un rischio o una possibilità di arricchimento?
“Dal mio punto di vista sono senz’altro un arricchimento. L’aspetto positivo delle contaminazioni è che non sarà più necessario girare il mondo per gustare un buon cous cous. L’importante è che si conosca la provenienza delle materie prime. Le contaminazioni non sono una minaccia per le nostre tradizioni. Più grave è, semmai, mangiare prodotti italiani fatti con materie prime surgelate provenienti da altre nazioni”.

Clara Minissale