Numeri Novembre 2008
L’INCHIESTA
Nel mercato più antico di Palermo adesso si trovano i prodotti di tutto il mondo. Tra arance e lattughe ecco anche gli ortaggi utilizzati nella cucina indiana, africana e sudamericana. I più diffusi: platani, okra, tindora
Qui non si mastica solo italiano
Il giro del mondo in poco meno di un chilometro. Un percorso fatto di odori e sapori che fino a qualche anno fa erano totalmente sconosciuti e che oggi caratterizzano anche i nostri mercati. Il centro storico di Palermo è ormai un mix di varie etnie che portano con sé storie e tradizioni, abitudini e gusti.
Così, tra broccoli e lattughe nostrane, fichi d’india e arance locali, è facile imbattersi in platani, okra, tindora, karella, kakrol o taro root.
Si tratta perlopiù di ortaggi molto usati nella cucina indiana, africana e sudamericana e che, lentamente, stanno entrando a far parte anche delle abitudini alimentari dei palermitani più esperti e curiosi. Pare infatti che i maggiori conoscitori della cucina etnica siano proprio i palermitani con la più ampia cultura di gastronomia regionale e una buona apertura nei confronti di pietanze diverse da quelle alle quali si è abituati.

L’okra è una pianta tropicale con fiori originaria dell’Africa. Il frutto, una capsula di forma piramidale, simile ad un peperone allungato, è anche chiamato “asparago dei poveri” e si impiega come verdura e come contorno. Ne esistono due varietà, quella verde e quella rossa, ma sui banchi di Ballarò si trova fondamentalmente la prima.
Il frutto contiene una sostanza mucillaginosa, gelatinosa, utile per ispessire zuppe e ragù. È usato come contorno e ben si accorda con pomodoro, cipolla, peperone, curry, coriandolo, origano, limone e aceto. L’okra ha un ottimo sapore, vagamente simile agli asparagi, e può essere cucinata nelle maniere più disparate: fritta, stufata con il pomodoro, in minestre o in zuppe caraibiche o orientali, oppure può essere messa sottaceto o in salamoia.
Il kakrol (o teasle gourd), tipico del Bangladesh, ricco di calcio, fosforo, ferro e carotene, è anch’esso utilizzato come contorno e, come l’okra, può essere cucinato in svariati modi.
Simile al nostro cetriolo, almeno nell’aspetto è invece il tindora, molto utilizzato in India, cucinato con patate e spezie. È ricco di vitamina A e C ed è

Più difficile da gustare, almeno per noi occidentali, è invece la karela. A dire il vero, gli stessi commercianti indiani di Ballarò la definiscono troppo amara. Ma, nonostante tutto, è in bella mostra sui banchi del mercato. Pare sia un vero toccasana per la salute, ricca com’è di ferro, betacarotene, calcio, potassio, vitamine C e B e fosforo. Inoltre, grazie ad alcuni enzimi, facilita la digestione. Non a caso, infatti, in Sud America è utilizzata come cibo e come rimedio medicinale. È amarissima e dunque non deve essere consumata cruda ma, ben ripulita e “spurgata”, diventa un piatto d’accompagnamento davvero prelibato.
Somigliano invece alle nostre patate le taro root. Anche queste vanno consumate rigorosamente cotte perché contengono una tossina che viene eliminata cocendole. Possono essere bollite, asciugate e poi fritte o tagliate finemente e fritte. Nella cucina cinese viene grattugiata in strisce sottili e poi fritta per formare i “nidi di rondine”.
Insomma, se siete stufi della solita minestra, non c’è che l’imbarazzo della scelta…
Clara Minissale
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