Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 190 del 05/11/2010

COSA LEGGO Una “tarantina” a regola d’arte

07 Novembre 2010
pasta-tarantina pasta-tarantina

COSA LEGGO

La pasta con le cozze, come cucinarla, dove comprare i frutti di mare. E tanto altro nell’ultimo libro giallo di Daniele Billitteri, “Valdesi Blues”. Un atto d’amore per uno dei primi piatti più amati

Una “tarantina”a regola d’arte

“Valdesi Blues” è il nuovo libro del giornalista palermitano Daniele Billitteri  pubblicato da Pietro Vittorietti Edizioni, in libreria da pochi giorni. Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo uno dei capitoli del libro in cui i protagonisti del libro, Franco ed Angela, descrivono la preparazione di una pasta alla tarantina a regola d’arte. Pagine da gustare tra ironia, sorrisi e qualche consiglio utile per i gourmand.


Angela cucina la «tarantina» a regola d’arte. Ma se le cozze non sono buone, si può avere tutta l’arte del Louvre ma non c’è che fare. Franco sa dove andare per non correre questo rischio. Intanto, per antica tradizione familiare appartiene a quella razza di palermitani nella quale il maschio va a fare la spesa e la porta a casa dove la donna cucina. Il maschio non avrà idea di quando si aggiunge il sale o di come si fa un «ingranciato» ma saprà tutto sui tagli della carne, sui sistemi per stabilire se un pesce è fresco o no, di qual è la marca migliore di mortadella o il numero «magico» degli spaghetti Barilla.

Nel settore cozze, ingrediente principale della «tarantina», Franco ha due opzioni. Una è il vivaio dell’Addaura dove vengono coltivate in un tratto di mare la cui pulizia viene garantita dai controlli dell’ufficio d’igiene legati ai rinnovi periodici della licenza. L’altra opzione sono le bancarelle di Isola delle Femmine dove però hanno cozze più piccole ma più gustose. Quelle sono migliori per la zuppa mentre le cozze del vivaio sono più indicate per l’impepata o per fare, appunto, la «tarantina», pietanza importata, come dice la stessa parola, da Taranto dove c’è ancora il più grande allevamento di cozze del mondo.

Franco va dunque al vivaio e torna a casa con tutto il necessario: quattro chili di cozze già pulite e separate dal «grappolo» sul quale si attaccano, e tre mazzetti di prezzemolo. Non serve altro. Verranno ulteriormente pulite strappando via il «bisso» cozza per cozza. Poi verranno fatte «scoppiare» in una pentola che rimarrà sul fuoco il tempo necessario per fare aprire le valve e rilasciare tutta l’acqua interna. La polpa verrà tirata via e messa in una ciotola mentre l’acqua espulsa dalle cozze verrà filtrata con un tovagliolo di carta per liberare il liquido dalle impurità. Poi Angela metterà olio abbondante in una padella e soffriggerà almeno otto spicchi d’aglio rosso schiacciati col batticarne. Quando saranno rosolati aggiungerà un sorso di vino bianco che farà sfumare. Quindi metterà l’acqua espulsa dalle cozze senza aggiungere sale visto che quella che ha messo è acqua marina. Fuoco basso e tempo necessario a fare «stringere» il sughetto. Quando mancheranno cinque minuti alla densità desiderata, si aggiungerà la polpa che così completerà la cottura. Alla fine un pugno di prezzemolo tritato, un coperchio sulla padellona ed ecco pronto il condimento per gli spaghetti. Poiché la cucina ha i suoi partiti, c’è quello dello «spaghetto n.5». Ma Franco milita fin dalla nascita nel partito dei «vermicelli n.7». Più che mai nel caso degli spaghetti con sughi di pesce.
 

Agata Polizzi