Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 193 del 25/11/2010

QUI ROMA Pizza? Diamoci un taglio

25 Novembre 2010
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QUI ROMA

Ormai famosa quella di Gabriele Bonci nel suo locale nei pressi della stazione della metropolitana Cipro. La più richiesta? Quella con le patate, ma lui la preferisce con passata di pomodoro ed erba cipollina

Pizza? Diamoci un taglio

Non m’importa mettere a sedere persone che spendono 150 euro a cena. Io voglio far mangiare il popolo. La gente che si siede non è il popolo. Questo è quello che ha convinto Gabriele a continuare a fare il pizzaiolo.

Sette anni fa, quando ancora era cuoco in un bel ristorante, comprò una pizzeria chiusa con l’idea di attivarla e rivenderla poco dopo, come investimento. Ma invece della nuova attività, lasciò presto il vecchio lavoro. “Non m’interessano i profitti alle stelle – dice oggi – ma voglio che anche chi non può permettersi di spendere molto sia soddisfatto dalla qualità; magari comprerà un pezzo più piccolo, ma uscirà di qui felice”.

Lui è Gabriele Bonci, romano sulla quarantina; Pizzarium è il nome del locale, in via della Meloria, vicinissimo alla stazione della metropolitana Cipro. Due stanze, sala e cucina, grandi in tutto 32 metri quadrati, che sfornano 320 chili di pizza al giorno. Da fuori si presenta come una normale pizzeria a taglio, con un’insegna gialla che sovrasta la porta, due piccoli tavoli e tre panche ai lati. A fare la differenza sono tre casse davanti alla vetrata, piene di castagne, melagrane e noci. Sulla porta un adesivo dice che qui si utilizza soltanto vaniglia biologica. “Dove usi la vaniglia?”, chiedo. “Faccio una pizza con vaniglia, pomodorini e baccalà”, e ti accorgi che proprio una normale pizzeria a taglio non dev’essere.


Gabriele Bonci

Il bancone è coperto da strisce di pizza rossa, bianca con pomodori del Piennolo, farcita con le patate o con prosciutto umbro; e ancora teglie con focacce ripiene di verdure di stagione (spinaci, cicoria, cicorione), coppa con patè di testina di bue o porchetta di Vitalliano Bernabei, la cui particolarità è una crosta soffiata e croccantissima. In arrivo una col cotechino e un’altra con foie gras, composta di albicocche e semi di sesamo. Gabriele usa, e ha sempre usato, ingredienti di qualità. Oggi viaggia un paio di volte al mese in giro per l’Italia per scovare prodotti con cui costruire le sue pizze, circa 2000 tipi diversi all’anno, create in base alle disponibilità della stagione. “Li invento tutti io”, dice convinto “Sabato sono stato in Molise a prendere le ventricine, poi in Abruzzo per l’aglio e in Maremma, dove ho compro i conigli e questa volta delle gallinelle che stanno bollendo. Voglio farci un tonno e creare una nuova pizza.


Il bancone delle pizze

L’autunno è la stagione più divertente per lavorare. E’ il periodo dell’olio, delle castagne, del tartufo e dei funghi. Tra poco cominceranno ad essere colte le zucche e già è in programma la pizza lardo e zucca. “Vado direttamente dai contadini, uso fornitori soltanto per i prodotti che arrivano dalla Spagna, il lavoro è tanto, ma per me è soprattutto un piacere, è come se io fossi sempre in ferie”. Anche le bevande sono tutte biologiche, dalle birre ai nettari di frutta, che più che succhi sembrano spremute di pera o albicocca, tanta la consistenza. Bandite invece le bibite commerciali, prima tra tutte la CocaCola.

“Quando lavori col naturale esce fuori l’artigiano e il cibo si trasforma in sentimento”. Gabriele, alto, grande, diretto e secco nelle risposte, non ha certo l’aspetto da poeta,  ma si vede che ama quello che fa: “Non voglio fare grandi utili a tutti i costi. Certo, il prezzo della pizza è più alto del normale, ma perché pago molto gli ingredienti. Non ho neanche intenzione di trasferirmi in un locale più grande, l’affitto costerebbe troppo”. La gente che assaggia è contenta. “Prima vedevi un muratore con un panino con mortadella avvelenata e una Peroni, oggi magari lo vedi con mortadella di qualità e una birra d’abbazia. E’ bello contribuire a questa presa di consapevolezza della società che non vuole più mangiare veleno”. Racconta poi tra il divertito, l’infervorato e il soddisfatto che i filippini passano da lui per le pizze con i pesci conservati, come acciughe o aringhe, mentre gli africani chiedono sempre quella con le patate. Escono felici. E a Gabriele basta.

La più richiesta è proprio la pizza con le patate, la preferita da Gabriele è invece quella rossa, con passata di pomodoro e un po’ d’erba cipollina. E in effetti sorprende, rivelandosi, nella sua semplicità, ricca di sapore. La pasta è uguale per tutte, 80% di farina di farro e grano solo nel lievito. Ne esce un impasto morbido, alto ma soffice, con una sottile crosta uniforme e croccante alla base.
In una lavagna nera dietro al bancone si leggono i fritti del giorno: supplì classico o classicissimo con i fegatelli di pollo, crocchetta di patate o arancino con coda alla vaccinara. Altre volte si trovano polpette di cavallo o arancini con riso cotto nel brodo d’anatra e cicoria. E intanto il banchista presenta un pane al cliente: “Questo è con uvetta, rum, pepe e cereali”.

A Pizzarium lavorano nove persone (della decima sono alla ricerca). I ragazzi presentano ogni pizza che assaggi. Racconta Gabriele che una volta una giornalista si complimentò per la preparazione e la gentilezza dei banchisti, poi fecero l’intervista per telefono e alla fine gli chiese quanti posti aveva a sedere. “Mi prendi in giro allora? Il male dei ristoranti italiani sono i giornalisti. Ci vorrebbe un patentino per chi scrive di cibo, per chi giudica il lavoro di chi si brucia le mani tutto il giorno”.
Gabriele mescola la gallinella nel pentolone che fuma in cucina. Da un altro tira fuori una grande lingua che poi sarà fritta e infilzata con uno stecco con un “peperoncello” sott’olio ripieno di tonno: “la lingua col piercing”, un‘altra sua specialità. “La mia lingua rende il cervello un utero gastronomico, nel senso che richiama molti sapori già assaggiati: la panatura ricorda la cotoletta alla milanese, l’accostamento col sottoaceto l’insalata di rinforzo napoletana, quella di Natale, aceto più fritto porta al carpione pugliese, tonno e vitello al vitello tonnato. E poi la lingua è la prima cosa che si forma in un mammifero. Bellissima”.
La ributta nel pentolone e torna tra i clienti: “ Ma se ti copiano?” chiede un signore in giacca e cravatta. “Non ce la faranno mai – risponde il pizzaiolo – Sono sette anni di sperimentazioni. Ma magari se qualcuno ci riuscisse sarebbe divertente la sfida”.

I ristoranti preferiti da Gabriele
Il Bersagliere, a Colonna (Roma)
Pizzeria la Fucina, zona portuense (Roma)
Pascucci al Porticciolo a Fiumicino (Roma)
E la cucina di Adriano Baldassarre

Bianca Mazzinghi