Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 31 del 18/10/2007

VERDE A TAVOLA La regina della salute

17 Ottobre 2007
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    VERDE A TAVOLA

La salvia, erba sacra o tè dei greci, dalle applicazioni farmaceutiche è passata presto in cucina. salvia_hp.jpgI provenzali preparavano una zuppa in cui l’associavano a patate e aglio, ma può impreziosire ogni piatto, dalla carne agli ortaggi, questione di accostamento…

La regina
della salute

Non occorre aver studiato il latino per capire che la salvia è una pianta dalle virtù più che salutari. La pianta “che salva” era ritenuta capace di veri e propri prodigi dai popoli più antichi. I druidi l’impiegavano contro reumatismi, febbri, la paralisi, l’epilessia e per favorire concepimento e parto.

I medici della scuola salernitana si chiedevano nel medioevo: perché muore l’uomo che ha la salvia in giardino? E loro stessi si davano la risposta: “Perché nessuna erba è tanto potente da debellare la morte”.
L’erba sacra o tè dei greci, dalle applicazioni farmaceutiche è passata presto in cucina. I provenzali preparavano una zuppa con patata, aglio e salvia che oltre a essere un gustoso piatto era disintossicante e disinfettante. Tritata e mista a vino era largamente impiegata per conservare o cucinare tutte le carni. Ed oggi basta solo applicare un po’ di fantasia e la salvia può impreziosire qualsiasi piatto, dalla carne agli ortaggi, questione di creare il giusto accostamento.
salvia_officinalis.jpgAppartenente alla famiglia delle Labiate, la stessa che annovera la menta, la salvia officinalis cresce su terreni asciutti e sassosi delle regioni meridionali. Il suo odore molto canforato è facilmente distinguibile. Si impiegano tutte le parti della pianta, dalle foglie grigio-biancastre, spesse e ricoperte di peli, ai piccoli fiori viola.
Le sue virtù antisettiche e cicatrizzanti erano note agli speziali che l’impiegavano per guarire le affezioni gengivali. Nei Capitolari di Carlo Magno si raccomandava di dare alla salvia un posto d’onore nell’orto. E santa Ildegarda la riteneva una vera e propria panacea contro tutti i mali.
Ma ci fu anche chi andò oltre i limiti del consentito. Avvenne nel 1630 a Tolosa, durante la terribile pestilenza che fece migliaia di morti. Alcuni ladri furono arrestati con l’accusa di avere spogliato i cadaveri. Un reato gravissimo che non ammetteva la salvezza. Ma i magistrati offrirono comunque un’ancora di salvezza ai briganti: volevano conoscere il segreto della loro immunità, come facevano a non rimanere contagiati pur spogliando i cadaveri. I ladroni confessarono di avere usato una mistura a base d’aceto, salvia, timo e lavanda. Un unguento che li proteggeva dal contagio e che fu sperimentato con l’aggiunta di aglio a Marsiglia cento anni più tardi. Da allora, la mistura fu chiamata “Aceto dei quattro ladroni”.

Mario Pintagro