Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 82 del 09/10/2008

LA RICERCA Altro che bufala…

08 Ottobre 2008
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    LA RICERCA

mozzarella82.jpgL’Inran ha effettuato uno studio sui gusti degli italiani sulla mozzarella. A Milano si è più di bocca buona, a Roma conta la succosità, a Napoli e nel resto del Sud è importante la consistenza

Altro che bufala…

Per un giornalista scrivere di “bufale” è una contraddizione in termini. Con questo termine infatti si intende dare notizie false. Ma questa volta i dati della ricerca sono proprio veri. Stiamo parlando dei vari tipi di mozzarella a secondo dove vengono vendute. Analizzandone il colore o la consistenza.

Ad indagare su cosa cercano nella bufala gli italiani è l’Inran, l’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, con uno studio presentato nei giorni scorsi a Caserta nell’ambito del progetto “Qualità alimentare” finanziato dal Mipaaf, il cui obiettivo è saper rispondere meglio alla richiesta del mercato. Nel territorio della denominazione d’origine sono state selezionate 15 aziende, i cui prodotti sono stati oggetto di un’indagine edonistica condotta a Milano, Roma e Napoli, su un campione di 327 consumatori abituali di mozzarella.
Se dunque al consumatore di Milano le caratteristiche della bufala sono piuttosto indifferenti e comunque non tali da influenzare il suo gradimento, diverso è l’atteggiamento dei romani e dei napoletani: a Roma è molto più esigente e lega il suo gradimento al rilascio di siero, alla sensazione di succosità, alla struttura granulosa a fiocchi, alla pasta, al gusto salato, nonché alla sensazione di grasso. Sulla stessa lunghezza d'onda il napoletano, a cui aggiunge l’aspetto esterno (lucente, porcellanato) e la consistenza (spessore ed elasticità). Da nord a sud sono tutti d'accordo su quello che non va: la resistenza al taglio, il gusto amaro e il colore. Ma se non tutti i consumatori la pensano alla stessa maniera c’è da dire anche che le mozzarelle non sono tutte eguali: quelle della provincia di Salerno, ad esempio, risultano meno ricche di proteine di quelle di Latina e sono più ricche di acqua delle napoletane che, a loro volta, sono più salate di quelle di tutte le altre zone a vocazione come Caserta.
Caratteristiche comuni invece per il lattosio, il cui contenuto medio deve essere di 210mg/100g e diminuisce con il passare dei giorni e a seconda del modo in cui la bufala viene conservata; in frigorifero cala la consistenza e aumenta la quantità di siero, umidità e sali minerali. Quanto infine ai prodotti derivati, mentre il burro di bufala è meno ricco di colesterolo (168 mg/100g) rispetto a quello vaccino (234mg/100g), non è altrettanto per lo yogurt con 7,3g/100g di grassi contro 3,8g/100g degli altri. Insomma se a Milano si è più di bocca buona, a Roma quello che conta è la succosità, mentre a Napoli e nel resto delle regioni del sud è importante anche la forma e la consistenza. Un modo anche per far dimenticare il caso delle mozzarelle di bufala alla diossina provocate dall'incendio di rifiuti anche tossici in Campania, dove a marzo scorso sono stati controllati 79 allevamenti di bufale e 19 caseifici, soprattutto del Casertano.
Ma attenzione anche alle mozzarelle “taroccate”. Secondo le stime della Coldiretti, sono circa due milioni le tonnellate di “falsa” mozzarella italiana prodotta nel mondo che rischiano di sostituire sugli scaffali di vendita il prodotto originale, danneggiato dalle restrizioni commerciali e dalla psicosi che si sta diffondendo a livello internazionale. Tra i paesi che realizzano le maggiori quantità di mozzarelle taroccate ci sono – sempre stando alla Coldiretti – l'Australia e gli Stati Uniti dove negli ultimi venti anni e' triplicata la produzione di “falsa” mozzarella made in Italy per un quantitativo di 1,3 milioni di tonnellate realizzata soprattutto nel Wisconsin, in California e nello stato di New York. Si tratta di produzioni destinate al consumo interno ma anche all'esportazione su mercati internazionali dove, nonostante il minore livello qualitativo, rischiano di togliere ora spazio, sull'onda dell'emotività, al prodotto nazionale a denominazione di origine.
Se infatti in Italia – continua la Coldiretti – la mozzarella di bufala è consumata da quasi un italiano su due (48,8 per cento) ed è quindi un formaggio di cui sono ben note le caratteristiche, in molti paesi, soprattutto asiatici, è più facile per i consumatori cadere nell'inganno con il rischio che si radichi nelle abitudini alimentari un falso made in Italy che non ha nulla a che fare – contaminato o meno – con la qualità di quello autentico.

Elena Mancuso