Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 85 del 30/10/2008

L’ALLARME Pesca costiera, luci e ombre

30 Ottobre 2008
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    L’ALLARME

pescatori83_hp.jpgInquinamento e concorrenza con i grossi pescherecci stanno mettendo in crisi le piccole imbarcazioni. E intanto la fauna ittica si sta impoverendo

Pesca costiera,
luci e ombre

A causa del depauperamento della fauna ittica, oggi in Sicilia la pesca artigianale costiera delle piccole imbarcazioni è in forte crisi: è infatti troppo forte la concorrenza impari dei grossi pescherecci che molto spesso operano la pesca a strascico illegalmente, cioè senza osservare i parametri regolamentari: distanza dalla costa non inferiore alle 3 miglia, profondità superiore ai 50 metri e reti le cui maglie siano grandi almeno 40 mm.

Se a ciò aggiungiamo l’inquinamento dovuto ai rifiuti industriali e fognari, gli sfabbricidi provenienti dalle discariche abusive, alcune delle quali sono ancora attive, l’interramento dei porti, possiamo farci un’idea delle condizioni del nostro mare che, specie vicino alle città, sono drammatiche. Secondo alcuni studi fatti, venti anni fa Palermo aveva il triste primato di essere il porto più inquinato del Mediterraneo; adesso il disinquinamento della Cala ha fortunatamente migliorato in parte la situazione.
Il ripopolamento della fauna ittica costiera può essere realizzato con successo con la costruzione di barriere sottomarine artificiali che hanno il doppio scopo di impedire la pesca a strascico e di offrire riparo alle specie ittiche. Un sistema molto usato dai giapponesi e che ha avuto buona applicazione nelle barriere messe in opera nel tratto di mare antistante Terrasini e nel golfo di Castellammare. I risultati sono stati ottimi, ma è ancora letteralmente una “goccia nel mare”.
Causa di questa situazione è non solo la pesca dei grandi ma anche dei piccoli e dei piccolissimi pesci, che vengono solitamente fritti, in qualche caso preparati in umido o marinati. La neonata (in siciliano nunnata, a Catania mucco) è una delle prelibatezze più apprezzate. Può condire la pasta, o essere mischiata alle uova per le note polpette (in Sicilia orientale dette crespelle) di neonata. I siciliani vanno matti anche per cicirelli, acciughe, maccaruneddu, seppioline, calamaretti. A Catania sono molto apprezzati gli sparacanaci, pesciolini fritti che si mangiano interi, e a Trapani i pesci fritti si mangiano perfino con la pasta. Nella costa ionica sono abbastanza comuni in estate le costardelle (Scomberesox saurus), piccoli pesci di passa simili alle aguglie: un tempo, specie nei paesi annidati nelle profonde vallate sovrastanti, ogni famiglia ne conservava una certa quantità sotto sale per l’inverno. Nella costa sudorientale presso Vittoria, seppioline e calamaretti sono chiamati capputteddi (“cappottini”), a Siracusa scopularicchi, mentre altrove il termine molto spesso usato è cappuccetti.
neonata83_dentro.jpgPer alcune fra le numerose ricette siciliane con le sarde (sarde a beccafico, sarde fritte), è necessario che esse siano preventivamente allinguate, cioè diliscate e aperte a libro fino a farle diventare simili a una lenguada (“sogliola”, in spagnolo), un’operazione che oggi non sempre è effettuata dai pescivendoli con la stessa abilità e velocità del passato. Le polpette di sarde a Palermo sono cotte nella salsa di pomodoro e si fanno generalmente con lo stesso procedimento di quelle di tonno, mentre quelle delle Madonie, che possono essere infarinate e fritte, prevedono l’inserimento di una pallottolina di tutti gli ingredienti fra due sarde diliscate. L’alaccia è un pesce azzurro più grande di alici e sarde, ed è pertanto definita da alcuni ’u patri da sarda. Le aringhe, affumicate o salate, provengono invece dal Nord Europa, e sono frequentemente usate nell’insalata di arance; nel passato ad alcuni piaceva metterle a cuocere intere nella cenere, avvolte nella carta paglia.
Marsala con i suoi vivai naturali delle saline dove si producono spigole e orate e le grandi foreste sottomarine di Posidonia oceanica, gode di alcune specialità, fra cui la proibita e ormai introvabile trigliola dello Stagnone e le vope giganti. I marsalesi fanno le polpette e il ragù con il pesce gattuccio (Scyliorhinus canicula), e impazziscono per il cosiddetto pisci rè (“pesce del re”, detto anche brutalmente minchia di re). Sono piccoli pesci colorati che nel resto dell’isola si chiamano viole, e in italiano donzelle (Coris julis) e che sono soggetti a inversione sessuale. Quando sono femmine sono particolarmente saporiti, ma oggi non è facile trovarli al mercato del pesce di Marsala: solo due anziani pescatori vanno ogni giorno a pescarli con la lenza a uno a uno per venderli agli intenditori locali.
Dall’altro capo dell’isola i catanesi stravedono per i masculini (acciughe o alici) dichiarati Presidio da Slow Food che ne ha anche organizzato il commercio sotto sale. C’è un fattore che misteriosamente migliora la qualità del pescato: «Tutti sanno che il pesce del golfo di Catania, – sostiene Raimondo Piazza, pescivendolo a Lentini, – è più sodo e “citrigno” e quindi più buono, se pescato quando le piogge dilavano in mare le sabbie laviche dell’Etna, e si forma sul fondo marino un’erbetta detta manna perché è come un dono di Dio». Avere entrambe le branchie leggermente spezzate, si dice inoltre a Catania, è sicuro segno che i masculini, detti anche anciuvazzu dai pescatori locali, siano stati pescati con la rete menaide (o tratta), la tecnica è quella che veniva praticata in tutto il Mediterraneo già al tempo di Omero. L’imprigionamento nelle maglie della rete della testa dell’alice (che per questo motivo si chiama masculina da magghia) provoca un dissanguamento naturale che rende il pesce più gustoso e pregiato. E’ scientificamente provato e ben lo sanno i catanesi che a caro prezzo comprano i mascolini freschi al mercato della Piscarìa vicino alla loro Cattedrale.

Marcella Croce