Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 189 del 28/10/2010

DAL SALONE DEL GUSTO/LA DEGUSTAZIONE Chateau Musar, magnifici bianchi

28 Ottobre 2010
bottiglie bottiglie

DAL SALONE DEL GUSTO/LA DEGUSTAZIONE

Serge Hochar, considerato tra gli uomini del vino più famosi al mondo, ha raccontato cosa si nasconde nei suoi vini provenienti dalla vallata del Bekaa, in Libano: “Prodotti vivi e longevi, che hanno la capacità di cambiare ogni minuto”

Chateau Musar,
magnifici bianchi

Bere Chateau Musar significa mettere in discussione il concetto di vino stesso e trovarsi a definire un nuovo termine di “fede”.  Verso questi confini insoliti, della dimensione sensoriale, quasi trascendentali, ci ha portati Serge Hochar in persona durante un laboratorio tenutosi per pochi fortunati in occasione dell’ultima edizione Salone del Gusto.


Uno dei pochissimi incontri ufficiali cui si concede. È stato definito l’uomo del vino più importante al mondo e già da pochi elementi si è capito subito il perché. Lo hanno rivelato le sfumature dei suoi vini, dal paglierino intenso all’ambra scura cromature cariche come la terra del Libano, e la loro storia, antica come quella della vallata del Bekaa in cui prendono vita. Poi tutta la saggezza del demiurgo racchiusa nelle sue bottiglie. E infine le sue parole che hanno scandito l’assaggio di ciascuna annata attraverso un tempo quasi liturgico.
Hochar si è presentato non parlando di sé ma delle sue vigne che cura da 50 anni. Vecchissime, a piè franco, coltivate ad alberello disposte in 180 ettari nella linea verde tra Beirut est e ovest.  Espressioni rigogliose dell’incontro tra natura e civiltà che neanche guerre ed intolleranze hanno potuto intaccare. Un’epifania racchiusa in un calice per chi ha potuto assistere al laboratorio. Non è stata una degustazione ma il racconto di un uomo rimasto per interpretare e prendere della sua terra la parte migliore: 1961, 1969, 1989, 1995, 2000, questi i tesori del Libano che Hochar ha offerto e che tiene, appunto come tesori, nelle cantine seicentesche del castello di proprietà dell’azienda. Bianchi Introvabili, rare esperienze di Obeideh e Merawh dove indelebili sono rimaste tracce d’epoca etrusca.
A moderare l’incontro è stato Luca Gargano, presidente del gruppo Velier. Ha definito i 5 Chateau Musar monumenti storici della Valle del Bekaa: “Talmente unici, non trovano alcuna analogia con nessun altro vino e costringono chi li assaggia a dover cambiare approccio”. Questi frutti del 34° parallelo, dal più giovane al più vecchio, hanno dimostrato tutta la relatività del tempo, anzi confutandolo, perché caratterizzati  da una longevità che si evolve in giovinezza. Così le annate più vecchie hanno sorpreso i palati con una freschezza straordinariamente elegante.


Serge Hochar

Li ha descritti Hochar: “Prodotti vivi. Che hanno la capacità di cambiare ogni minuto. Sempre diversi si evolvono in modo permanente come la vita. Il loro fascino è la loro capacità di vita”. Così che degustando un bicchiere da una bottiglia stappata dieci giorni prima ci si imbatte in un vino ancora diverso, migliore. Questa evoluzione che inverte la marcia del tempo si è sentita particolarmente nell’annata ‘69. In questo vino color del miele la ricerca del futuro nel passato o meglio il miracolo del ringiovanimento si impone già all’olfatto, preludio di un corpo e di un’acidità che smentisce i 40 anni trascorsi. Agli antipodi il 2000, profumatissimo, dai riflessi verdognoli nel pieno della sua gioventù, 10 anni rispetto a questa longevità sono davvero pochi, ancora senza la freschezza dei più vecchi. Quello proposto da Hochar è stato un viaggio nel tempo spiazzante per gli assaggiatori, disorientati e privati degli schemi di assaggio tutti saltati dinnanzi a questi vini.
Lo stesso produttore non li ha voluti descrivere, non ha nemmeno esortato il pubblico ad analizzarli, ha invitato semplicemente a parlarne attraverso le emozioni. Perché il vino deve essere accolto come cibo per la mente e per lo spirito. Grazie ai suoi vini Hochar infatti è potuto sopravvivere isolato sotto le macerie del suo palazzo per sei mesi in seguito ad un bombardamento. “Il vino è alimento. Nutrimento per il sistema neurovegetativo. Sono sopravvissuto bevendo ogni giorno mezza bottiglia di Musar”,  ricorda il produttore con un pensiero di riconoscenza che rivolge alle sue vigne che stanno dall’altra parte del Mediterraneo tra la terra ed il cielo a 1.000 metri sul livello del mare circondate dalle vette dei monti Libano e Anti-Libano. Incastonate in un luogo magico, Gargano così lo dipinge, dove le uve crescono sane non solo grazie ad un clima che ha una temperatura costante di 25°C anche d’estate e una piovosità molto bassa, soprattutto in coincidenza del periodo vegetativo, ma anche perché tra i filari si preserva la fratellanza. Cosa che tiene a precisare proprio Hochar. “Alcuni dei nostri contadini sono Sciiti. Questo dimostra che nel vino c’è comunione tra uomini – e alza il calice -. Dove ci sono le vigne c’è vita, non c’è posto per i conflitti. Il vino è ciò che si situa tra Dio e gli uomini”. Fede nella terra, fede nella tradizione, fede nella tenacia dell’uomo: Hochar in questa dimensione colloca il suo vino. “Mi lega al vino la fede. Per me un legame intimo che mi consente di comprenderlo in termini spirituali. Io ho un dialogo con il mio vino, lui mi parla”. 

Manuela Laiacona