Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 189 del 28/10/2010

DAL SALONE DEL GUSTO/NUOVI SCENARI L’evoluzione del biodinamico

28 Ottobre 2010
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DAL SALONE DEL GUSTO/NUOVI SCENARI

L’esperto Leonello Anello: “Ecco come si intuì che questi vini potevano avere una loro vita”

L’evoluzione
del biodinamico

La vita di Leonello Anello è stata ripercorsa spesso parlando di biodinamica del vino. Si è reso necessario farlo durante un incontro al Salone del gusto, perché proprio la sua storia personale, risulta legata a doppio filo con le evoluzioni e le ricerche in campo biodinamico.

La passione, nata sin  dai tempi in cui calcava le aule della facoltà di Agraria di Firenze, e l’amore per l’agronomia, erano sempre accompagnate da una buona dose d’insoddisfazione e di dispiacere per come il vino, convenzionale o industriale che si dica, veniva prodotto da più parti. “A quei tempi la biodinamica era poco più che esoterismo – racconta Leonello sorridendo – si pensava che apportando maggiori quantità di sostanza organica, questa potesse portare un incremento qualitativo nella terra. Le teorie di Steiner non bastavano, e noi giovani ragazzi non sapevamo cosa inventarci. Fu solo nel 1991 che, grazie alla scoperta degli studi di Alex Podolinsky, si potè cominciare ad abbandonare questo approccio per cominciare a concentrarsi sulla sostanza verde”.
Il preparato 500 compostato e successivamente il 501 (e a seguire gli altri) diedero l’avvio a quella che si può chiamare “biodinamica moderna”, ovvero uno studio teso a valorizzare la naturalità del vino e la sua integrità tra vitigno e territorio. “Si capì pian piano che i vini naturali potevano esistere, che potessero avere un’evoluzione diversa dall’aceto e che l’unica cosa che poteva nutrire la terra era la terra stessa”, racconta Leonello Anello.
La biodinamica moderna è un atto concreto, che mostra le differenze tra un terreno e l’altro e che è in grado di suggerire quantità, parametri unici che ogni viticoltore saggio può seguire anche se non ha mai letto la tesi steineriana. Essa può essere applicata a tutte le superfici di terreno ed a tutte le piante.
La cantina poi, è spesso il luogo dove qualunque atto virtuoso avvenuto in vigna, si perde. Leonello legge l’elenco dei trattamenti e dei composti chimici che si possono aggiungere al mosto tra i vini biologici o convenzionali, “Azoto, potassio, ossido di silicio, bentonite, gelatina in scaglie o polvere, caseinato di potassio, albumina d’uovo e molti altri ancora. La solforosa potrebbe a questo punto essere perfino eliminata, ma quello che resterebbe non farebbe di sicuro meno male della solforosa”, chiarisce Leonello, prima di aggiungere: “La solforosa è il male minore”.
Nel vino biodinamico invece non si ammettono abbassamenti o innalzamenti di temperature, non si possono stimolare le fermentazioni, non si possono fare filtrazioni, né chiarifiche, né aggiunte di lieviti che non siano già presenti nell’uva. Tutto deve svolgersi in totale naturalità e nel rispetto virtuoso del vitigno d’origine e del vino.
Ed è proprio nel rispetto totale del vitigno che i vini biodinamici non ammettono blend, ma solo uvaggi (la fermentazione deve avvenire contemporaneamente per tutte le uve), inoltre bisogna sfatare il mito che il biodinamico sia solo il monovitigno o che sia esclusivamente autoctono.

Laura Di Trapani