Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 25 del 06/09/2007

LA CUCINA DEL FUTURO/GLI ESPERTI carta d’identità sociale

05 Settembre 2007
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    LA CUCINA DEL FUTURO/GLI ESPERTI

Davide Scabin, chef del Punto Combal Zero di Rivoli, dice la sua su ciò che riempirà le nostre tavole fra 10 anni. “Gli Ogm e la globalizzazione? Non sono draghi, ma manteniamo le nostre tradizioni”

Cibo: carta d’identità sociale

Un amico, che di cibo e convivialità si intende, ama ripetere che per una cena come si deve servono tre elementi: un vino discreto, cibo sufficiente e grandi commensali. Puntando dunque quel che basta sulle pietanze e tanto, invece, sulla compagnia. Questa descrizione sembra essere stata disegnata apposta su Davide Scabin, chef rinomatissimo del ristorante Punto Combal Zero a Rivoli, in provincia di Torino.

davide_scabin.jpgScabin delinea la cucina del futuro con una provocazione semplice semplice: «Non abbiate paura di un piatto di tortellini con la panna, il prosciutto e i piselli». Nessuna paura, scegliamo con il nostro gusto e senza seguire le mode del momento, è il diktat di Scabin. Ma soprattutto «speriamo che si torni a mangiare in famiglia, con i vecchi amici».
Scabin, vogliamo scoprire come mangeremo fra dieci anni. Cominciamo dalle abitudini. La gente mangerà sempre più fuori casa?
«Purtroppo è così. Per vari motivi: per comodità, perché il tempo a disposizione è sempre meno ma anche un po’ per curiosità».
Perché purtroppo?
«Perché si perderà quello che si fa nelle tribù indiane: tramandare la tradizione a tavola. Vivo in una città ad alta concentrazione di immigrati e mi rendo conto che la cucina, la tradizione culinaria, è la nostra carta di identità sociale, il nostro punto di riferimento al di là delle mode e del reddito».
Il cibo come carta di identità sociale. Bello.
«Bella vero? Il cibo entra nel sesso, nella vita, nella morte come per i giapponesi. Quando mi si fanno domande sul cibo si crede che le risposte siano semplici, immediate».
E invece non è così?
«Ma questa è la mia vita, perché da 27 anni mi occupo di certe cose. Queste possono solo sembrare domande leggere, ma per me non è così».
Torniamo al discorso principale. Lo stile in cucina nel futuro.
«Ciò che mangeremo è figlio di un’evoluzione sociale. Questo mi preoccupa. Mi preoccupa come italiano. Non bisogna salvare solo i prodotti ma la nostra italianità, attraverso i riti: bisogna rimettere a tavola un nucleo sociale. Alcuni anni fa ho tenuto delle lezioni sui vari tipi di cucina, tra le altre cose c’era anche la cucina dei single, perché io lo ero, e perché ce n’è sempre di più: dicevo sempre che bisogna costringersi ad apparecchiarsi. Anche se si resta da soli. Ora non sono più single, ma quando lo ero, apparecchiavo per me, cucinavo anche quando ero da solo».
Anch’io cucinerei più spesso per me se fossi Scabin.
«Ma no, per rilassarsi un po’ non bisogna per forza vivere con Messegue, così come per mangiar bene non deve per forza cucinare Scabin. E poi io vado anche in pizzeria, quando sono libero non frequento i ristoranti come il mio».
Quindi l’auspicio è una cucina sociale.
«Certo. A Natale non scappiamo, anche se ormai è difficile con le famiglie allargate o spaccate. Perché quel che si rischia di perdere fra dieci anni sono i riti. La globalizzazione non è negativa. Non bisogna fare in modo che la materia prima sia globalizzata, ma un po’ di evoluzione e di mix nelle tecniche di preparazione fa sicuramente comodo».
E degli Ogm che ne pensa?
«Anche sugli Ogm serve coerenza. Ben vengano le biodiversità, salviamo anche il peruviano con le sue patatine, ma non prendiamo come un drago la scienza che è in grado di produrre cibo. È un fatto da affrontare. Come l’emergenza delle fonti energetiche a livello mondiale».
La fantasia avrà ancora un ruolo?
«Dieci anni fa si parlava tanto di territorio e io venivo quasi denunciato per essere un creativo. Se si parla di creatività positiva va bene, ma bisogna avere qualcosa dentro e alle spalle. Se la creatività è taglia e incolla è diverso e non va bene».
E il vino, si berrà sempre meno? Verso cosa si orienterà la gente?
«Se si beve meno vino è perché hanno aumentato i controlli con gli etilometri. Ma è un freno al proprio piacere. Si limita un po’ la festa. Non sarà un caso che abbiamo avuto un’impennata dei vini di fascia altissima».
Insomma, per chiudere, potremmo suggerire alla gente di non aver paura del futuro.
«Bella anche questa. Certo, non abbiate paura di un piatto di tortellini con panna, prosciutto e pisellini. Spero che la gente fra dieci anni mangi ciò che gli piace. Il cliente deve scegliere secondo il proprio gusto».

Marco Volpe