Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 26 del 13/09/2007

IL RITO Ecco la danza del vino

12 Settembre 2007
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    IL RITO

La vendemmia, un periodo quasi sacro per chi vive nel mondo del vitivinicoltura. La Notte della Taranta, nel Leccese, unisce il piacere del ballo all’amore per la raccolta dell’uva. E poi c'è la Tammuriata napoletana…

Ecco la danza del vino

Ed ecco arrivato il periodo della vendemmia, momento tanto sospirato e fondamentale banco di prova per le attese ed il duro lavoro di chi coltiva la vite. Parliamo di un vero e proprio rito, una celebrazione quasi sacra che porta indietro nel tempo, vista la sua sostanziale immutabilità, e che genera sentimenti di gioia e voglia di festa (sempre che la natura non ci abbia messo del suo a rovinarla con indesiderati eventi atmosferici…).

vendemmia.jpgProprio questo forte legame con la tradizione fa si che in questi giorni si svolgano manifestazioni che hanno quasi sempre come tema comune quello del recupero delle radici locali e dell’espressione musicale più semplice, più antica e più diretta.
Non parliamo solo di folklore da turismo di bassa stagione, ma soprattutto di rilettura di quei caratteri di territorialità che hanno trasformato nei secoli riti e usanze della vita popolare in quelle che oggi possiamo definire importanti risorse culturali ed economiche. Il vino è indubbiamente una di esse. L’idea che è quella di immaginare un nuovo modo di abbinare vino, vitigni autoctoni e musica popolare che tenga presenti i valori di cui abbiamo appena detto. Per farci capire, come non pensare ad un rapporto stretto e sanguigno fra il pugliese Negroamaro (vitigno che regala vini opulenti, tannici ma di grande bevibilità) e la pizzica, danza la cui ossessiva ritmicità si lega a riti pagani di esorcismo o di liberazione dal morso del ragno?
In particolare nel Salento la pizzica o taranta diviene un rito collettivo di liberazione dai problemi del quotidiano, con una qualità musicale di fondo che ha spinto ad interessarsi ad essa anche grandi musicisti di ricerca come Stewart Copeland, batterista dei Police. La Notte della Taranta (svoltasi il 25 agosto scorso a Melpignano) è l’evento più importante legato a questa forma di espressione e siamo certi che il Negroamaro (con la sua compagna da rosato, che è la Malvasia di Brindisi, sarà sicuramente scorso a fiumi…). Spostandosi in Sardegna, terra che sta vivendo un periodo di splendore enologico proprio grazie a nuove interpretazioni dei suoi grandi vitigni autoctoni (Vermentino, Cannonau, Carignano del Sulcis, Cagnulari, Bovale) troviamo una varietà di danze celebrative, quasi sempre accompagnate dal suono degli strumenti a fiato tipici, le launeddas o dalle armoniche a bocca.
Su Ballu Tundu, il Passo Turrau di Mamoiada o Sa Danza di Mandrolisai (terra di vino per eccellenza) sono alcune di queste danze, nelle quali conta più l’elemento coreografico che quello ritmico.
E ora andiamo tra i filari di Falanghina, Fiano, Greco di Tufo ma anche Piedirosso e Aglianico. La tammurriata è un ballo, un canto, un suono, una delle maggiori espressioni musicali e sociali della tradizione della Campania, che parte da una origine sacra, poiché viene dedicata alla Madonna (quest’ultima è invocata dal popolo, in qualità di madre, protettrice della terra e della fertilità , al fine di garantirsi abbondanza e prosperità nei diversi periodi dell’anno legati alla semina, al raccolto o appunto alla vendemmia.)
La tammurriata prende il nome dal tamburo che scandisce il ritmo, detto “tammorra” o “tammurro”. La tammurriata utilizza particolari strumenti musicali: la già citata tammorra, formata da una pelle tesa su un cerchio di legno su cui sono fissati dei sonagli detti “'e cicere” o “'e cimbale”; le castagnette o nacchere, intagliate nel legno e costituite da due parti unite fra loro da un cordoncino. Alla tammorra e alle castagnette si possono aggiungere anche: il putipù o caccavella (tamburo a frizione costituito da una pentola di terracotta o scatola di latta ricoperta da una pelle, su cui è fissata una canna); il triccheballacche o scetavajasse (composto da tre martelletti di legno di cui quello centrale fisso, martelletti ai quali possono essere applicati anche dei sonagli); la tromba degli zingari o scacciapensieri o marranzano. Proprio questo antico e semplicissimo strumento ci porta, ideale link folkloristico, in Sicilia. La terra del Nero d’Avola, del Grillo, del Frappato, del Catarratto e del Nerello Mascalese e, ovviamente, alla grande famiglia delle tarantelle.
vendemmia_2.jpgLa tarantella (ovviamente derivata dalla taranta pugliese) è un'ampia e diversificata famiglia di balli tradizionali ma solo alcune aree però conservano oggi una tradizione viva, assidua ed autentica del ballo
La maggior parte dei repertori consiste in balli di coppia (non necessariamente uomo-donna), ma esistono forme a quattro persone, in cerchio e processionali. Più rare sono le forme con solamente un ballerino o una ballerina. Vi sono sottogruppi stilistici che hanno una propria denominazione (ballë 'n copp'o tammurrë, zumpareddu, pastorale, tarascone, viddhaneddha, ballarella, zumparella, ecc.), così come vari sono i repertori musicali (in 2/4, 6/8, 4/4, 12/8, ecc.) e gli strumenti usati per suonarli (canto, tamburo, zampogna, ciaramella, organetto, fisarmonica, chitarra battente, violino, mandolino, flauto – fraulo e friscalettu – doppio flauto, tromba degli zingari o (appunto) marranzanu, clarino,tamburo a frizione, ecc.).
Nei luoghi nativi del Magliocco e del Gaglioppo, la Calabria, si ha una variante che è la tarantella calabrese (reggina) è una danza tradizionale della zona sud-est della regione.
Lo schema coreutico: all'interno di un cerchio di astanti (rota), si alternano una coppia di danzatori. Il tempo della danza viene stabilito da un mastru i ballu, un danzatore riconosciuto nella sua autorevolezza dalla comunità che invita a turno le coppie all’interno della rota. Il ritmo del tamburello scandisce l'incalzare della danza. Vi sta girando la testa, a questo punto, d’accordo, e non sapete se sono i fumi del mosto nuovo o i giri vorticosi del ballo celebrativo. Non resta che augurarci che i frutti di questa vendemmia siano all’altezza di essere festeggiati con canti e danze della tradizione, come tutti speriamo, e che il nostro piccolo viaggio in questi luoghi senza tempo abbia il suono delicato e promettente del vino che cade nel calice.


Daniele Meledandri