Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Qui Slow Food

Il pane delle donne

02 Maggio 2013
pane-demetra pane-demetra

Nomu di Diu ch’è nomu sicuru
Lu pani ‘ntra lu furnu
La grazia ppì’ lu munnu
Sant’Isidoru beddu di crusca e beddu di fora
Santa Zita bedda e russa la muddica
Santu Nicola beddu di dintra e beddu di fora
Santu Onoratu né aiumu né passatu
Santa Caterina lu pani comu a chiddu d’a riggina
San Giuvanni criscilu beddu ranni
San Cristofulu chistu pani comu ‘n jalofaru
Sant’Austinu ogni pani quantu ‘n cufinu
Santu Ramunnu crisci lu pani quantu ‘n furnu
Santu Vitu ‘u pani quantu ‘n maritu
Comu crisci lu munnu
Accussi crisci lu pani ‘ntra lu furnu

Con questa litania, nella tradizione siciliana, si accompagnano e benedicono i minuti che precedono il momento “sacro” dell’infornata del pane. A recitarla, tutte intorno, sono le donne, alle quali si affidano la gestione della casa e il sostentamento della famiglia. Una tradizione che si perpetua da millenni nel Mediterraneo, che è stata raccontata da Omero nell’Odissea, e che è anche stata celebrata in alcune pitture su vaso dove le donne sono rappresentate in casa, impegnate nel loro lavoro “sacro” della panificazione, allietate dal suono del flauto.
 
Fare il pane con le proprie mani, farlo in casa è ormai divenuta una moda che coinvolge un sempre maggiore segmento di appassionati: chi per indiscutibili esigenze di una sana alimentazione, chi per sperimentare contaminazioni e ricerche sul tema, chi ancora per curiosità o perché si auto-gratifica riconoscendovi un connotato da status symbol. Sfugge probabilmente a questi appassionati la cultura e la sacralità, lunghe di molti millenni, che hanno costruito, passo dopo passo, il senso e le fasi di questa ritualità. Sfugge che, nello scambio d’u criscenti tra le donne, si ripercorre una tradizione che evoca lo straziante racconto mitologico di Demetra e Kore, i Misteri Eleusini, le basi della religione ebraica (Betlemme è nell’antica lingua siro-caldaica la Casa del Pane), di quella cristiana (Il Messia è il pane della Vita) e tanto altro ancora.
 
Se oggi sono indifferentemente uomini o donne i protagonisti di questa esperienza del gusto a queste ultime la tradizione ha affidato, sino a tutto l’ottocento e alla metà del secolo scorso, l’intera gestione di questa attività. Una tradizione che affonda fino all’età greca, quando alle donne di  Atene e Siracusa era delegato il dialogo diretto con Demetra dai bei capelli. Con questa ritualità in onore della dea delle messi si voleva propiziare la fertilità dei campi coltivati, donandole piccoli pani dolci che confezionavano in forma di pube femminile, insaporiti con sesamo e miele.
 
 Eraclide Siracusano, nell'opera Thesmoi a Siracusa racconta la preparazione da parte delle donne siracusane di questi piccoli pani, i mylli (o mylloi), e la loro forma sopravvive ancora, molto di meno il ricordo del loro significato sacro, in alcuni pani tradizionali confezionati nel ragusano. La preparazione dei mylloi ricorda un’altra tradizione dell’area modicana, questa volta legata al criscenti la cui fermentazione viene favorita con l’aggiunta di miele; quel miele ibleo che nel 330 a.C. il cuoco Archestrato di Gela ha decantato nel suo Hedypàtheia.
 
La preparazione dei mylloi nella Siracusa greca non avveniva in giorni qualunque dell’anno, ma nei Pantalei, i giorni conclusivi delle Tesmoforie, dieci giorni di feste con i quali avevano termine i Misteri Eleusini celebrati nell’arco dell’intero anno in onore di Demetra Tesmofora, istitutrice dell’agricoltura, del matrimonio e del vivere civile. Nella preparazione dei mylloi, secondo alcuni storici, non si disdegnava di unire tra gli ingredienti una “segala cornuta”, additivata con un fungo altamente allucinogeno, in grado di fare raggiungere l’estasi a chi ne mangiava anche un boccone, convinto così di entrare in contatto diretto con la divinità.“Cerere trovò il frumento, mentre prima si viveva di ghiande, lei stessa insegnò a macinare e a fare il pane in Attica e in Sicilia, per questo fu tenuta per dea”. Con queste parole, nel De Naturalis Historia, Plinio il Vecchio racconta il legame forte dell’isola con la Dea delle messi e la sua piena appartenenza alla cultura greca e di quei popoli civili formati da “Uomini che mangiano pane”, come li chiama Omero per distinguerli dai barbari, che ignoravano le arti dell’agricoltura ed erano perciò costretti a una costante migrazione.
 
Nella figura femminile che domina il pannello a mosaico che introduce al palermitano Panificio Morello, nel Mercato del Capo, l’artista ha rappresentato una bellezza senza tempo che esprime il trionfo della natura, auto-incoronandosi con un grande arco aureo realizzato da spighe di grano mature. In questo mosaico si celebrano, più duemila e trecento anni dopo, in forme liberty, le radici della devozione per Demetra che ha caratterizzato buona parte della cultura siciliana nell’antichità.
 
Ora la memoria di tutto questo è resa opaca dalla perdita progressiva del rapporto forte, intimamente sacrale, con la terra e la sua forza rigeneratrice, che per buona parte del novecento è stato fortemente percepito dalle comunità rurali dell’intera Sicilia. Il ricordo dell’offerta di mazzi di spighe alla Dea è ancora vivo in feste a metà tra cristianesimo e paganesimo celebrate nell’entroterra siciliano nel periodo pasquale o nella primavera fino alle soglie dell’estate. Ad un viaggiatore curioso, ad un turista che volesse conoscere la complessità delle culture presenti in Sicilia la partecipazione a questi eventi sacri farebbe comprendere che sono queste grandi feste di popolo, di fatto, a dettare i tempi e a segnalare i luoghi che nell’isola hanno più fortemente salvaguardato il rapporto sacro con la terra.

Roberto Garufi