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Vini e territori

Attilio Scienza parla della sicilianità

03 Dicembre 2011
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Il professor Attilio Scienza (nella foto) è sempre aggiornato sullo stato dell’arte del vino siciliano.

E anche per lui, ancor oggi, pare esistere una “sicilianità” dell’enologia isolana e, come per Sciascia e Bufalino, una “sicilianitudine” di chi, salvo poche eccezioni, lo promuove e lo produce. La “sicilianità”, che va intesa positiva, s’individua nelle identità, nel mantenimento dell’eccellenze, nella consapevolezza di valorizzare i vitigni autoctoni e ripensare gli “internazionali”. “Ma anche nel promuovere in giro per il mondo – afferma Scienza, corredando le parole con un altrettanto positivo sorriso – la sua immagine, come fanno molto bene, ad esempio, l’Istituto regionale del vino e della vite e le poche altre grosse aziende. Ma poi questo vino occorre piazzarlo su questi mercati che spesso richiedono grossi numeri ed una efficace organizzazione di export-import, che pochi dispongono e alla quale l’Irvv non può certo sostituirsi”.

Cosa fare allora? Il professore dice la sua al riguardo: “Ecco, qui bisognerebbe bacchettare con una verga pesante i piccoli produttori. Che non riescono a consociarsi, mettere assieme le loro piccole forze e recitare, per autoconvincersi, il verbo giornaliero  che io non mi stanco di ripetere ogni volta che vengo in Sicilia, “da soli si va veloci, insieme si va lontani” che nello specifico della “sicilianitudine”  l’essere “veloci” qui vuol dire restar fermi al palo. E poi magari guardarsi intorno e prendere ad esempio il  modello del Veneto e del Friuli dove grandi cooperative e piccole aziende private si sono consociate non solo per vendere vino ma per sviluppare assieme l’intera filiera, attraverso una ”rete d’impresa” dove accanto alle grosse cooperative si sono affiancati tanti piccoli produttori. Che hanno cominciando a scegliere i tipi d’impianto, i territori più vocati, per gestire in comune macchine operatrici costose ma di grande qualità, quali le cimatrici, le potatrici, le vendemmiatrici. Facile capire di quanto si abbasserebbero i costi di produzione, di quanto si migliorerebbe la qualità  e come poi la massa critica sviluppata e prodotta sia  possibile presentarla nei mercati internazionali offrendo un ottimo  rapporto prezzo- qualità. Sintetizzo: chi fa solo 20/30mila bottiglie  e non si consocia con altri piccoli produttori per trovare validi esportatori, non ce la farà mai!”.

Secondo Scienza il vero problema è capire che sono molto cambiati i mercati “…che tra l’altro richiedono vini alla moda, il Prosecco, l’Amarone, il Muller Thurgau e i produttori sanno bene che  per vincere i mercati  non basta la bravura e l’umiltà del contadino ma occorre la perizia del bravo imprenditore, e lì i contadini sono diventati bravi imprenditori. Se da voi non ci riusciranno ecco che l’espianto diventerà il flagello della Sicilia”.
  
Poi sulla Doc Sicilia dice: “Serve poco all’Etna che riconosciamo come un vero territorio di nicchia, fa buoni prodotti e li piazza bene nel mondo. Per il resto si rende necessaria come un ombrello che protegge i suoi vitigni autoctoni ed emblematici per le contraffazioni che potranno subire non solo in Italia ma in tutto il mondo. Ma la Sicilia dovrebbe muoversi per qualche nuova Docg. La meriterebbe la “Pantelleria” ma anche le Eolie con la “Malvasia delle Lipari”. Ma le vere urgenze dell’eccellenza che vanno sollecitate sono sulla vera imprenditorialità dei piccoli produttori”.

Stefano Gurrera