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Vini e territori

L’Etna si tinge di “rosa”: ecco perché questi vini hanno un futuro sul Vulcano

16 Giugno 2021
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di Ambra Cusimano

Si è tenuta una degustazione online dedicata ai vini rosari Etna Doc presieduta dal direttore del Consorzio Maurizio Lunetta, affiancato dal rappresentante dei produttori Giuseppe Mannino.

Il webinar è stato condotto dal nostro Federico Latteri ed è stato l’evento conclusivo di un ciclo di appuntamenti inerenti ai vini etnei. Hanno partecipato più di una ventina di giornalisti di svariate ed importanti testate giornalistiche e di settore. Il caso dei vini prodotti sul vulcano attivo più alto d’Europa ha ormai risonanza internazionale. La composizione dei suoi terreni e gli svariati microclimi lo rendono uno dei luoghi del vino più interessanti ed affascianti al mondo. Va inoltre sottolineato che la Denominazione di Origine Controllata Etna, nata nel 1968, è una delle più antiche d’Italia e la prima nel panorama vitivinicolo siciliano. L’interesse verso questo particolare territorio ha permesso al suo patrimonio di uve autoctone di essere conosciuto e rilanciato; tra queste ricordiamo il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio ed il Carricante. Un’altra unicità del vulcano risiede, come già accennato, nei vari microclimi che caratterizzano i suoi quattro versanti. Come ha infatti sottolineato durante il webinar Giuseppe Mannino, produttore etneo, il versante nord-est è quello più piovoso, mentre il sud-ovest ha un clima più caldo e secco.

(Durante il webinar)

L’obiettivo principale del webinar era innanzitutto capire lo stile dei rosati etnei, presupponendo che ancora uno non si sia delineato, e se effettivamente questi vini siano in grado di esprimere il territorio di provenienza. Quest’ultimo intento risulta essere un’impresa un po’ più ardua dal momento che nella produzione di vini rosati, diversamente da quanto accade con bianchi e rossi, prevale la tecnica del produttore. Per l’occasione sono stati selezionati e degustati sei campioni alla cieca provenienti da diversi versanti del vulcano e da aree con altitudini comprese tra 500 e 900 metri sul livello del mare. Anche la scelta dell’annata, la 2019, non è stata lasciata al caso; per l’occasione sono stati prescelti vini più compiuti e che hanno avuto più tempo di esprimere tutte le loro potenzialità. Inizialmente Maurizio Lunetta ha introdotto il territorio etneo spiegando le generalità e soffermandosi nel dettaglio sulle macro-aree, ovvero i versanti, per comunicare al meglio il territorio. Questo è senza dubbio uno degli aspetti più discussi e sul quale è importante soffermarsi quando si parla di vini etnei. Nella fattispecie dei rosati è stato ribadito che c’è sempre stato un legame del territorio con il rosato. Molti vini che venivano prodotti in casa anche cinquant’anni fa, infatti, erano proprio rosati. Questo perché, come nella tecnica “pista e mutta” (pesta e spingi), si usava spesso fare brevi macerazioni sulle bucce. Si può dunque affermare che sull’Etna i rosati siano una “tipicità”.

(I sei campioni degustati)

La degustazione è dunque iniziata con i campioni da 1 a 6. Nei rosati un importantissimo elemento è il colore che dona molte e preziose informazioni sul vino. I rosati tendono ad essere parecchio differenti tra loro, ma quelli prodotti sull’Etna sono tendenzialmente caratterizzati da un rosa scarico con riflessi ramati/aranciati. Il Nerello Mascalese si presta molto bene sia per il profilo aromatico che per donare ai vini il colore scarico di cui si parlava. Il terroir minerale regala invece freschezza. I campioni degustati sono stati tutti ottenuti con Nerello Mascalese in purezza e uno solo aveva anche una minima percentuale di Nerello Cappuccio. Secondo il disciplinare, modificato l’ultima volta nel 2011, i rosati etnei devono esser composti per l’80% da Nerello Mascalese e 20% da Nerello Cappuccio; è autorizzata anche una piccola quantità, inferiore al 10%, di uve a bacca rossa autorizzate dal Consorzio. Nella maggior parte dei casi, però, si tende ad utilizzare esclusivamente il Nerello.

I dati emersi dalla degustazione sono risultati molto incoraggianti. Nonostante vi sia una certa eterogeneità, che rende più complicato collocare questi vini in porzioni specifiche del territorio, poiché vi è la tendenza in tutta Italia a produrre rosati scarichi, ci sono però elementi interessanti che indicano l’Etna come territorio dove è possibile produrre ottimi vini rosati. Questi elementi sono: l’aromaticità, che tende alla frutta, al floreale e agrumato, rilasciando aromi sempre delicati e mai troppo invadenti; la freschezza che si riscontra soprattutto nell’equilibrio acido-sapido che crea una tensione verso la salivazione; la longevità, risorsa molto interessante e carta vincente per l’Etna. Difatti i rosati etnei possono durare anche fino a 5 anni e mantenere la loro freschezza. Sottolineare queste caratteristiche ha permesso anche di discutere sui potenziali abbinamenti dal momento che i rosati sono vini estremamente versatili e quindi perfetti sia con piatti della cucina regionale che non. Sempre Giuseppe Mannino ha sottolineato il trend di mercato in ascesa dei rosati soprattutto tra gli stranieri che sempre più spesso lo richiedono anche durante le visite in cantina. La strada per il successo è ancora lunga ed in salita, ma sicuramente molto ben tracciata come i sentieri che conducono alla cima dello splendido vulcano. L’obiettivo che si intende raggiungere al momento è quello di riuscire ad ottenere uno stile comune per caratterizzare e rendere più riconoscibile l’Etna rosato. Non si possono certamente avere delle regole scritte a riguardo, ma i produttori possono lavorare verso lo stesso traguardo. La potenzialità di questi rosati ha colpito tutti i partecipanti che ne sono rimasti piacevolmente colpiti.