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Vini e territori

“Disciplinare Doc Monreale, si cambia. Basta con i vitigni poco rappresentativi”

01 Giugno 2015
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Il presidente del consorzio Di Lorenzo: in etichetta aggiungere il nome Sicilia e ampliare i soci, presupposti per il rilancio


Mario Di Lorenzo

Atto primo. Rivedere il disciplinare. Troppe varietà consentite. Basta. Atto secondo: favorire le iniziative per richiamare turisti e cercare di coinvolgere più cantine possibili. Il rilancio in due atti. Non sarà facile ma Mario di Lorenzo, patron di Feudo Disisa e presidente del consorzio Doc Monreale ce la vuole mettere tutta.

I numeri ci sono. Il territorio pure. Parliamo di una zona di Sicilia occidentale in provincia di Palermo che comprende il comune di Monreale, parte del comune di Piana degli Albanesi e l’intero territorio dei comuni di Camporeale, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Santa Cristina Gela, Corleone e Roccamena. Oggi sono soltanto sei le aziende iscritte al consorzio nato quindici anni fa: Feudo Disisa, Principe di Corleone, Marchesi de Gregorio, Tumbarello, Sallier de La Tour, Cantina dell’Alto Belice.

Presidente, facciamo un passo indietro. Perché il Consorzio Doc Monreale non ha funzionato abbastanza fino ad oggi? Ci sono state aspettative disattese?
“Siamo in un territorio grande. Siamo una piccola Doc Sicilia e non è facile convogliare tutti in un comune obiettivo. Produciamo tante varietà consentite dal disciplinare in vigore dal Duemila. E questa vastità ha creato dispersione e frammentazione; probabilmente non ha consentito di focalizzare l’attenzione sulle peculiarità da mettere in risalto. E ciò che è un punto di forza si è trasformato in debolezza. Difficile è stato anche fare squadra. Del resto, si è fatto poco. Poche le attività di promozione necessarie per favorire la crescita dell’enoturismo. Eppure sono importanti i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere i vini a doc “Monreale”. Basti dire che il nostro comprensorio fa parte di quello che era un tempo il potente Arcivescovado di Monreale, costituitosi sotto il periodo normanno. Abbiamo un patrimonio architettonico e culturale unico. Il territorio intorno a Monreale ha un grande fascino per attrarre turisti, ma, al contempo, non ha ragione di essere perlustrato solo per le suggestioni architettoniche dello splendido duomo normanno costruito da Guglielmo II nel 1174, o per la rilevanza archeologica degli scavi condotti nel monte Jato, o per le antiche tradizioni popolari di Piana degli Albanesi”. 

Perché? 
“Perché qui è eccellente anche la cultura enogastronomica, la cui qualità è garantita da un marchio di fiducia. Fino ad oggi sono state le singole cantine a dimostrarlo, da sole e per conto proprio. Ma è il momento di cambiare e di credere nel rilancio del Consorzio perché da ciò tutti possiamo trarne giovamento. Insieme si è più forti verso i mercati”.

Quali sono le caratteristiche del territorio su cui ricade la Doc Monreale?
“I nostri paesaggi sono caratterizzati da colline morbide e dolcemente ondulate a quote comprese tra i 200 e i 700 metri dal livello del mare. I suoli hanno una tessitura che va dal sabbioso all’argilloso, ricchi di elementi nutritivi, in cui si registra una generosa presenza di potassio, elemento chimico fondamentale per la sintesi zuccherina delle uve. Queste caratteristiche, insieme a quelle climatiche, conferiscono una spiccata fertilità ai terreni, particolarmente vocati per la coltivazione della vite”.

Prima ha parlato di una eccessiva dispersione delle varietà ammesse dal disciplinare e della necessità di focalizzarsi sulle peculiarità del territorio. 
“Sì. Nel nostro territorio si coltivano circa 30 varietà. Ma quelle iscritte nel disciplinare sono 12 tra cui anche il Sangiovese, il Pinot Bianco e Nero. Di certo, troppe. Alcune non ci appartengono. Vogliamo concentrarci sulle varietà che meglio ci contraddistinguono. Puntando soprattutto su quelle autoctone, Catarratto, Inzolia, ma anche Grillo, che si è ben adattata, per i bianchi, e Nero d’Avola e Perricone per i rossi. Senza trascurare alcune varietà internazionali quali lo Chardonnay per i bianchi e Syrah per i rossi, ma si tratta, in questi due casi, di varietà che hanno trovato qui una identificazione territoriale”.

Insomma, se questi sono i nuovi orizzonti, via Sangiovese e Pinot? Cambierete il disciplinare?
“Decisamente. Troppe varietà che hanno portato ad una frammentazione di etichette. Adesso bisogna concentrarsi sulle nostre peculiarità. Vogliamo cambiare il disciplinare e introdurre la denominazione Doc Monreale Sicilia. Entro un anno contiamo di avere già la modifica del disciplinare e di renderlo attivo immediatamente”.

Un po’ di numeri per una panoramica generale. Quanti gli ettari vitati e le bottiglie prodotte ad oggi?
“Meno di 10 mila ettari ricadono nel territorio, ma quelli iscritti alla Doc Monreale sono circa 100 ettari. Sei soci. In passato erano il doppio. Le bottiglie prodotte sono 250 mila oggi. Negli ultimi anni la crescita è stata costante. C’è stato un picco di crescita tra il 2007 e il 2008 per via delle maggiori cantine attive sul territorio. Negli ultimi anni in compenso mi sento di dire è cresciuta molto la qualità”.

Obiettivi futuri?
“Vorremmo coinvolgere altre cantine. Ma dobbiamo oggi far percepire il nostro cambiamento. Lavorare sulla visibilità affinché venga voglia di esserci, di unirsi e di lavorare insieme. Purtroppo noi siciliani tendiamo ad essere individualisti e questo è un limite. Ma va superato. Invertire il trend del Consorzio è il nostro obiettivo. E speriamo di arrivare almeno ad un numero di 12 soci. Circa venti sono state le cantine presenti al Vinitaly, le più visibili, ma ce ne sono altre più piccole e meno visibili. Oltre a quelle che fanno solo uva. In totale circa 100. Il Consorzio è aperto ai produttori”.

Previsioni per il 2016?
“Cambierà il disciplinare. Faremo promozione. Abbiamo avviato il primo evento importante il Wine Tour Monreale DiVino (se ne parla qui), per far conoscere il nostro territorio, con il suo immenso patrimonio artistico e culturale, insieme ai nostri vini e alla nostra gastronomia. Investiremo anche sulla cultura del vino, perché è mancata nel nostro stesso territorio, dove non di rado al ristorante è ancora difficile che si presenti bene il marchio Doc Monreale”.

Francesca Landolina