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Vini e territori

Zingarelli: con il Gran Selezione abbiamo tolto la polvere al Chianti Classico

06 Febbraio 2015
sergio_zingarelli sergio_zingarelli

Le divisioni e gli stop and go prima di arrivare alla nuova categoria di vini. E le divergenze sull'uso del marchio Gallo Nero. I progetti futuri e lo sguardo verso l'Asia. Parla il presidente del Consorzio

La prima coltre di polvere è volata via, nel febbraio del 2013, con “Chianti Classico Revolution” il programma del Consorzio di Tutela del Chianti Classico.

Un programma che, tra le altre cose, ha istituito una nuova categoria all’interno della quale le aziende collocano il loro vino più rappresentativo, la Gran Selezione. “Ma ancora c’è tanto da fare”. Parola di Sergio Zingarelli, presidente a scadenza di mandato che traccia un bilancio delle attività, racconta le difficoltà e le incomprensioni di uno dei consorzi più importanti d'Italia e snocciola i programmi futuri. Tutto questo a pochi giorni dall'anteprima del Chianti Classico che si terrà a Firenze il 17 e il 18 febbraio prossimi.
 
Con il progetto Chianti Revolution il Consorzio ha ridefinito la piramide qualitativa delle etichette prodotte dalla denominazione; ponendo al vertice  un nuovo vino, il Gran Selezione, seguito da Riserva e Annata. Come si è giunti alla decisione?
“La decisione non è stata per nulla facile, semmai molto travagliata. Ma necessaria. Ad un certo punto ci siamo resi conto del fatto che il mondo del vino ha sempre riconosciuto grande importanza ai vini prodotti in Chianti Classico, ma di certo non un’importanza pari alla loro vera qualità. Forse anche a causa della nostra politica”.

Cioè?
“Mi spiego: molti vini prodotti nei territorio della denominazione non sono Chianti Classico e cito per esempio Cepparello, Flaccianello e altri di bravissimi produttori. Il motivo? Si riteneva che se tali vini fossero stati chiamati con il nome di Chianti Classico, non avrebbero poi ottenuto l’immagine che effettivamente hanno acquisito nel tempo. Da questa impasse bisognava uscire, per cui abbiamo deciso di presentare una nuova categoria che si ponesse all’apice della piramide qualitativa del Consorzio. E l’abbiamo chiamata Gran Selezione, con lo scopo di dar spazio ai migliori vini Chianti Classico e di poter accogliere nuovi prodotti o vini già esistenti sul mercato ma che, seppur compatibili con il disciplinare del Chianti Classico, erano fino ad oggi presentati come Igt”.

Da qui l’adozione di un disciplinare ben preciso. E una commissione di assaggio che giudica se i campioni mandati dai produttori sono atti o meno a divenire Grande Selezione.
“Sì. Gran Selezione è un vino prodotto da uve di esclusiva pertinenza aziendale, coltivate nei vigneti più vocati e con regole severe che lo rendono un vino di grande pregio, un nuovo punto di riferimento nel panorama enologico internazionale. Il vino deve essere prodotto al 100% da uve aziendali, prevede una percentuale minima dell’80% di Sangiovese, il vitigno a bacca rossa tipico della zona; deve avere un mezzo grado in più rispetto alla Riserva, essere sottoposto ad almeno 30 mesi di invecchiamento (24 invece per la Riserva), possedere caratteristiche organolettiche più importanti”.

A distanza di tempo possiamo raccontare se ci sono state resistenze nel corso dell’iter?
“Innegabile. E qualche resistenza permane. L’introduzione della categoria Gran Selezione sta facendo parlare molto del Consorzio. Oggi circa 70 aziende hanno presentato almeno una Gran Selezione. Alcune anche due annate e più di un vino. Come in tutte le novità l’iter è stato lungo. Quando si è andati a votare non tutti erano d’accordo. Qualche contrarietà c’è stata. Forse perché la Gran Selezione veniva percepita come rigida. Però quando si porta a termine una decisione voluta dalla maggioranza, si deve arrivare a qualche punto di incontro tra le correnti di pensiero. Per fare un esempio, inizialmente si era proposto che il vino fosse della vigna, poi si è deciso che fosse invece aziendale. Alcuni chiedevano di includere solo uve autoctone. Insomma, si richiedeva una maggiore rigidità. E poi mettere d'accordo centinaia e centinaiamdi soci non è facilissimo”.

E come si può definire il disciplinare a cui invece si è giunti?
“È un disciplinare meno restrittivo, non integralista.  In questa zona è più importante il territorio, a prescindere dalle uve che metti nel vino. Il contrasto critico però, secondo me, non è del tutto negativo. Ha fatto parlare parecchio”.

La rivoluzione ha riguardato anche lo sfuso, per un controllo maggiore sulla qualità…
“Decisamente. All’introduzione della Gran Selezione, si sono aggiunte importanti novità per la movimentazione del vino sfuso (circa il 20%). Quest’ultimo, può essere commercializzato solo se certificato come Chianti Classico (cioè soltanto dopo che la commissione d’assaggio lo ha certificato come tale), diversamente da quanto avveniva con il cosiddetto “atto a divenire”. Questo controllo chiaramente ha scombinato un po’ di cose. Ma così abbiamo ottenuto un risultato. Oggi spingiamo le aziende che producono vino per venderlo sfuso a produrlo meglio oppure a vendere le uve, per non rischiare che quel vino si declassi”.

E poi il restyling del marchio storico: un gallo nero che torna a cantare con energia. Anche in questo caso, una rivoluzione. Tutti d’accordo?
“Innanzitutto abbiamo il vantaggio di un logo che ci identifica, il Gallo Nero. Negli anni quest’ultimo, ha avuto funzioni diverse. Quando non c’erano le commissioni d’assaggio, il gallo nero veniva dato da una commissione del Consorzio ai vini che superavano l’esame, quindi come marchio di garanzia. Con l’entrata della Docg è diventato il marchio volontario di alcune aziende. Ad un certo punto però il Consorzio si è smembrato, dividendosi tra il Consorzio del Chianti Classico e quello del Gallo Nero, che poi è diventato Consorzio del Marchio Storico. Tutto ciò ha fatto sì che i soci del Chianti Classico si occupassero della parte produttiva e quelli del Marchio Storico della promozione. Con il passare del tempo però è venuta a mancare la piena sovrapponibilità tra i due enti. Da qui la necessità di una fusione. E sono sorte due diverse correnti di pensiero. Da una parte vi erano i protettori del Gallo Nero, dall’altra chi non lo voleva. Del resto, alcune aziende hanno sempre percepito il logo come una zavorra per la loro immagine. Alla fine però si è giunti ad un compromesso, di cui mi prendo il merito come presidente, ossia quello di far diventare il Gallo Nero il marchio di tutte le bottiglie del Chianti Classico. Mentre prima il marchio era obbligatorio solo sulla fascetta e lasciava libere le aziende di apporlo o meno sulla bottiglia, oggi con Chianti Classico Revolution le cose sono cambiate. Intanto il restyling (un iter che ha richiesto tre mesi per l’approvazione) ha restituito un’immagine più elegante al Gallo Nero, più fiero, in movimento. Tre mesi dopo l’approvazione del logo, si è giunti alla comune conclusione di spostare il marchio dalla fascetta alla bottiglia (o sul collo o sulla retro, al centro o in alto), con parametri di dimensioni e colori identici per tutti”.

E lei dove lo colloca nelle bottiglie della sua azienda Rocca delle Macìe?
“Personalmente ho sempre difeso e scelto il marchio, ponendolo in bella vista nelle mie bottiglie, del resto il marchio collettivo rafforza la nostra identità e ci distingue dal vino Chianti, con cui si fa ancora confusione”.

E anche i grandi nomi sono disposti a metterlo in bella vista?
“Mi reputo un grande nome e personalmente, avendolo sempre difeso e sostenuto, nelle mie bottiglie lo metto sul collo. Poi c’è di tutto. Ci sono anche le piccole fattorie che preferiscono collocarlo sulla retro. Su questo punto il Consorzio si spacca, ma comunque il marchio c’è e arriva sulla tavola, identificandoci”.

La Rivoluzione come continuerà?
“Puntiamo a rafforzare l’immagine del Consorzio, e per farlo sicuramente bisognerà fare di più in Italia. Ad oggi ci siamo  dedicati soprattutto alla presentazione all’estero (New York, Londra, Tokio, Toronto). La prima volta, l'anno scorso, ci siamo presentati al mondo a Firenze con 32 Gran Selezioni, oggi siamo circa a quota 70”.

Cosa c’è in cantiere?
“Ci dedicheremo ad una maggiore attività promozionale. Questi due anni sono stati incentrati sulla Gran Selezione con molte polemiche. Non manca chi si lamenta del fatto che non ci sia la possibilità di mettere in evidenza la propria azienda, però una cosa è certa: la Gran Selezione ha creato interesse verso il Chianti Classico. Dovevamo levare polvere dalla nostra immagine”.

Ma oggi qual è la vostra posizione nei mercati nazionali e all'estero?
“Il mercato italiano negli ultimi anni è calato d’importanza e questo per vari fattori. Innanzitutto si consuma meno vino in Italia e poi c’è una sempre più spiccata regionalizzazione dei consumi. I mercati del Chianti Classico continuano ad essere Usa e Canada”.

Siete pronti per il mercato asiatico? 
C’è da lavorare. Occorre seminare tanto perché è enorme potenzialmente, ma il segmento dei vini medi ne soffre. In quel mercato vanno bene o i vini dal prezzo bassissimo o le grandi griffe. Il Chianti Classico ha difficoltà. Bisogna lavorare tanto sul grande nome. Siamo soddisfatti però per alcuni passi avanti. A dicembre si è svolto il primo evento in Asia per la presentazione della nuova tipologia di Chianti Classico, all’Ambasciata d’Italia a Tokyo. La Gran Selezione ha riscosso un’accoglienza entusiastica da parte del pubblico giapponese. Sono ottime le prospettive di crescita del mercato”.

La prima coltre di polvere è andata via, la rivoluzione è iniziata. Il futuro?
Continueremo a lavorare per rafforzare l’immagine del Consorzio e per consolidare la conoscenza della nuova denominazione. Il 2015 sarà un anno impegnativo ma si guarda al futuro con serenità e ottimismo. Cos’altro? Beh, ci avviciniamo al 2016, ricorre il trecentesimo anno dell’editto che si può considerare la prima denominazione di origine controllata della storia: il bando promulgato da Cosimo III dei Medici il 26 settembre del 1716. Non aggiungo altro, ma ci saranno grandi eventi celebrativi nel 2016″.

Francesca Landolina