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Vinitaly 2018

Albino Armani (Doc delle Venezie): “Così farò cambiare idea agli italiani sul Pinot grigio”

18 Aprile 2018
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(Albino Armani)

di Giorgio Vaiana

C'è un compleanno da festeggiare, un futuro da progettare, un vitigno (il Pinot Grigio) da valorizzare ancora di più, ma soprattutto da far conoscere agli italiani. 

Inizia con un dato un poco sconfortante la nostra chiacchierata con Albino Armani, produttore veneto e presidente del consorzio delle Venezie Doc che ci ha ospitato presso lo stand allestito al Vinitaly: “Solo il 4 per cento degli italiani beve Pinot Grigio”. Numeri bassi, troppo. “Dobbiamo comprendere perché non riusciamo a trasmettere in Italia i valori di questo territorio”. Già perché il consorzio delle Venezie non soffre certo di “febbre bassa”. Anzi. Numeri incredibili per essere all'anno numero 1, con 360 associati (fra cui 100 cantine, poi trasformatori e singoli produttori), 25 mila ettari vitati, una produzione di 1,3 milioni di ettolitri di vino (oltre 170 milioni di bottiglie) e un prodotto certificato, nei primi mesi del 2018 già superiore a 700 mila ettolitri. Ma, c'è un però: il 95 per cento di questa produzione varca i confini nazionali. “Il nostro è un vino amichevole – dice Albani – anzi come si dice, “friendly”; non di grande tasso alcolico, non complesso, piacevole. Molto beverino e adatto a tantissime cose. Ma nelle varie degustazioni queste, che per noi sono pecluiarità, non emergono e stiamo cercando di capire perché”. Il consorzio produce in Italia quasi la metà del Pinot grigio del mondo. La stragrande maggioranza viene coltivata proprio tra Veneto, Friuli e Trentino. Un'altra regione in cui si produce è la Sicilia. Nel mondo, la fa da padrone la California con il 14 per cento della produzione mondiale, “ma bisogna specificare che qui si ragiona per fare quantità e non qualità – spiega Armani – con regole diverse dalle nostre, con rese per ettaro da folli e soprattutto con la possibilità di scrivere “pinot grigio” in etichetta anche se questo è solo al 50 per cento. Noi puntiamo sulla qualità. Quindi sono state ridotte le rese di 26 ettolitri. Non ci interessa fare volume”. La Moldavia e questa zona dell'est europeo stanno puntando sul Pinot grigio, così come la Germania che ha messo a dimora nuovi impianti.

C'è un mercato da “aggredire” e conquistare. Ma Armani punta anche l'Italia. Dopo un anno vissuto tra adempimenti burocratici, assetto delle regole e dello statuto del consorzio, si è messo in moto un meccanismo che, assicura Albani “è il più bello del nostro paese – dice – Siamo partiti senza rodaggio, per fare un paragone, senza provare nemmeno la macchina. Certo ero preoccupato in quanto avevo il ruolo di presidente, ma devo dire che le cose hanno funzionato”. Merito anche di un impianto di certificazione unico nel suo genere che raggruppa ben 4 soggetti: “Le certificazioni vengono fatte al massimo in 4 giorni – spiega Armani – ed era fondamentale per portare avanti il nostro lavoro di consorzio. Ci siamo preoccupati fin da subito di come avremmo potuto evitare di far attendere giorni e giorni ad un'azienda la risposta positiva o negativa di una certificazione”. Anche la consegna delle fascetta (si parla di milioni di “pezzettini” di carta”) è stata risolta aprendo diversi magazzini nel territorio della Doc per consegnarle nel più breve tempo possibile. Un consorzio gigantesco, “ma non è che lo siamo diventati: eravamo grandi anche da piccoli”, dice Armani che si è assunto la responsabilità della tutela del Pinot grigio: “Stiamo parlando della gestione dell'85 per cento del Pinot Grigio italiano – spiega Armani – e la responsabilità ti porta per forza di cose ad entrare in dialettica e in discussione con gli altri. Ma questo non vuoli dire certo fare gli arroganti. Noi siamo inclusivi e non esclusivi”.

E un dialogo, proprio in questo Vinitaly, è stato già avviato con gli altri produttori, “perché è fondamentale andare sui mercati non solo con l'idea di essere compatti e coesi – dice Armani – ma anche con quella di mostrare il nostro stile”. Ecco, proprio sul concetto di stile Armani si sofferma con grande attenzione: “Lo stile italiano è fondamentale – spiega il presidente del Consorzio – All'estero interessa lo stile dei vini: penso ai rossi complessi, ai rosati, i bianchi le bollicine. Passa quasi in secondo piano la questione territorio. Ecco noi dovremmo essere bravi a comunicare entrambe le cose: stile e bellezza dei nostri territori”. Doc importanti, dunque, che diano il senso di un meccanismo che funziona bene, ma non a discapito di quelle un po' più piccoline: “Devono essere valorizzate – dice Armani – ma stare dentro ai grandi numeri, perché in qualche maniera le mettono al sicuro. Non metto in contrapposizione le due cose, ma vanno studiate due forme diverse di comunicazione, una dedicata allo stile italiano come detto, e una per le doc minori. Per esempio il Trentino sta facendo bene, parlando e difendendo i loro vitigini identitari, ma riuscendo a pensare anche alle migliaia di ettari di Pinot Grigio. In Italia, però, si continua a non fare: siamo piccoli, inefficienti e sul piano internazionale la paghi. Non siamo stati ancora capaci di maturare il concetto che ormai siamo obbligati a parlare tutti insieme. Non dobbiamo litigare per forza”. Il consorzio che “ha lanciato un sasso in uno stagno” dice Armani e che comunque “mi pare sia stata la cosa più interessante dal punto di vista enologico in Italia nello scorso anno”, prosegue, sta pensando al futuro dando però un'occhiata anche ai “cugini” del Prosecco: “Sono un grande appassionato di numeri e mi baso su quelli – spiega Armani – Non mi pare che il mondo del Prosecco stia dando segni di cedimento. Crescite nell'ultimo mese superiori al 10 per cento nonostante l'incremento dei prezzi, la Brexit e i vari disastri internazionali. Il Prosecco è un treno che va lasciato correre. Il loro consorzio ha delle enormi responsabilità nella gestione di questo potenziale. Ma sono convinto che sia attrezzato per andare avanti molti anni. L'unica cosa che mi preoccupano sono gli aumenti esponenziali dei valori territoriali”.