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La manifestazione

Tra gli stand al Fancy Food di New York

03 Luglio 2013
stand_spezie stand_spezie

da New York Paola Camillo

Il Fancy Food è la montagna russa del cibo.

La più grande fiera alimentare del nord America che mette uno accanto all'altro 2400 produttori di 80 paesi. Non basta una settimana mangereccia per degustarli gli oltre 150mila prodotti presentati. Cibo da supermercato ma anche tante delicatessen da gourmet boutique. Il valore aggiunto è la possibilità di parlare con i produttori, che per tre giorni presidiano gli stand facendo una massiccia e vivace opera di comunicazione e fidelizzazione del proprio brand. Justin Gold, un ragazzone riccioluto di appena ventotto anni, è anche il fondatore di Justins, l'azienda organica del Colorado che produce uno dei peanut butter più amati d'America. Con un candido sorriso regala ai visitatori quadratini di caramellose torte al burro di arachidi e nel frattempo concede interviste alle tv. 

Che si tratti di cibo cosiddetto naturale o di cibo industriale, la fiera è una vertigine felicemente calorica: manzo di Kobe, bottarga, caviale russo, specialità al seitan e al tofu, kimchi coreano e persimon cinese, sale dell’Egitto impalpabile come aria, salse alla molassa, tanta cioccolata, biscotti. Al banco della porchetta di Gianluca Cioli, produttore di Ariccia con una piccola base nel New  Jersey, si fa la fila, e tra gli stand italiani per la prima volta figura anche il prosciutto cotto toscano che dopo anni ha finalmente avuto dalla Food and Drug Administration il via libera per essere importato negli Stati Uniti. Formaggi: in ordine dopo i francesi c’è anche una folta rappresentanza di latticini americani provenienti dai pascoli del nord e dal sudwest: l’azienda agricola Rising Sun Farms, con sede in Oregon, ha creato una Torta Cheese al formaggio cremoso aromatizzato in decine di gusti, come albicocca e curry ricoperti da un letto di mandorle, oppure alla zucca, cannella e cardamomo.


Formaggi Rising Sun Farms

Dal Texas, invece, Paula Lambert, fondatrice di Mozzarella Company, ci tiene a precisare che l'arte del formaggio l’ha appresa in Italia: “sono andata trent'anni fa a Perugia per studiare l’Italiano e invece ho imparato a fare il formaggio. Tornata in America avevo voglia di mantenere il mio legame con il vostro paese e così ho messo su un’azienda casearia specializzata in mozzarella, ricotta, crescenza, scamorza. Ho inventato anche una caciotta mista di latte di vacca e latte di pecora, insaporita da foglie di citronella. Oggi esporto i miei formaggi in tutte la catene più importanti d'America”, dice Paula con i bianchi bianchissimi e soffici come un batuffolo di cotone.


Paula Lambert

Val la pena di visitare il Fancy Food perché non è una fredda esposizione ma è una girandola di umanità, storie personali, buone idee e aspirazioni. In mezzo ai marchi che dominano da tempo il mercato americano, ci sono start-up e singoli produttori che stanno costruendo il loro futuro, scommettono sul proprio progetto; forse entreranno a far parte delle grandi catene di food, forse nei negozi di nicchia o forse scompariranno dal mercato. Joe Bellavance vive in Indiana e ha messo a punto un kit per fare il pane in casa con le proprie mani: 15 dollari per una scatola che contiene un piccolo manuale, farina, lievito, semi di papavero e di girasole per insaporite, e utensili base per controllare la cottura. “Dieci anni fa andava molto di moda la macchina per fare il pane. Il risultato però non era dei migliori, per cui ho pensato di far il pane con le mie mani. E’ un pane contadino, semplice, onesto”. Poi ci sono i big, come Colavita: l’oleificio del Molise ha fatto la sua fortuna oltreoceano, dove è presente negli scaffali di quasi tutti i supermercati Usa: “abbiamo iniziato a vendere extravergine in America negli anni '70. Allora si usava molto l’olio di semi. Poi la sensibilità nei confronti del cibo è cambiata radicalmente. C'è stato addirittura un articolo del New York Times che parlando dell'importanza dell’extravergine nell’alimentazione quotidiana ha citato la nostra azienda come esempio di qualità”, dice Giovanni Colavita, ceo dell’azienda, che presto inizierà a produrre olio anche in California, con un blend di olive greche e italiane.

Anche la Asaro produce l'olio in Italia, a Partanna in provincia di Trapani, ma lo vende prevalentemente negli States. Cinquecento mila bottiglie l’anno per una storia che inizia a Ellis Island dove “mio nonno – racconta Tommaso Asaro- è arrivato agli inizi del '900. Nel giro di pochi anni aprì un negozietto di alimentari a Brooklyn e poi tornò in Sicilia per dare il via all’esportazione di olio”. L'Italia ha al Fancy Food una rappresentanza molto forte: 330 stand. Alcuni marchi sono raggruppati da start-up come la laziale Network Globale che punta su olive e olio, caffè e pasta. Alcune aziende sono alla prima esperienza Usa, altre sono già presenti sul mercato americano ma mirano a consolidare la propria posizione.

Sant’Eustachio, il famoso caffè romano simboleggiato dall’alce con la croce, crede nel successo di un prodotto unico, riconoscibile: “noi siamo un po’ spigolosi –scherza il co-titolare Raimondo Ricci- non crediamo nella diversificazione eccesiva del prodotto, puntiamo tutto sulla qualità cento per cento arabica che ci ha reso famosi. In questo momento ci teniamo ad ampliare il nostro rapporto con la catena di Whole Food, dove siamo presenti solo nei negozi di New York ”. La Selvotta è un'azienda presente in alcuni ristoranti di New York. Abruzzese di Vasto, il frantotio produce l'I-77, un olio che non solo ha un nome particolare ma anche un gusto speciale -erbaceo e fruttato, piccante e amaro- che gli è valso il premio Tre Foglie del Gambero Rosso.

Uno dei momenti più fancy della fiera lo regala Delverde,  il pastifcio della Maiella che scende in campo con i suoi “Pasta Sommelier”, chef giovani, carini e istruiti che danno mini lezioni di cottura e degustazione della pasta.
Anche se al Fancy Food si parla molto italiano, ci sono molti angoli esotici che è peccato non sondare. Uno per tutti il caffè Luwak dell’Indonesia, che costa mille dollari al chilo perché, digerito dallo zibetto, acquisisce un aroma dolce, rotondo, privo di acidità. “Non ha bisogno di zucchero o latte. E’ fantastico bere un caffè di lusso defecato da un gatto della Sumatra!- dice Mr. Recipe, il guru delle spezie, il cuoco mediatico new yorchese, che si materializza tra gli stand con la sua stazza imponente e con i suoi baffi alla Dalì, dando l’ultima macinata di pepe alla giostra del cibo che è il Fancy Food di New York.