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Taormina Gourmet 2017

Servizio e cantina: la gestione delle birre ve la spiega Michele Galati. La lezione a TG2017

22 Ottobre 2017
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(Michele Galati – ph Vincenzo Ganci)
 

di Andrea Camaschella, Taormina

Si chiude con la masterclass più tecnica e più centrale sul tema birrario: quanto la conservazione e il servizio influiscono sul bere una birra. Può sembrare assurdo, ma ci sono dei fattori che cambiano in maniera enorme la percezione di una birra. Ci sono alcuni requisiti fondamentali.

Anzitutto come e dove una birra viene conservata, quindi temperature costanti e non calde ovviamente, così come il buio. Il tempo di conservazione, cioè quando bere una determinata birra, che varia a seconda della tipologia di birra, come nel vino, è un altro punto cruciale: ci sono birre che danno il meglio di sé appena uscite dal birrificio e altre che si esibiscono a livelli altissimi dopo mesi o anni o addirittura decenni. La scelta del bicchiere, che se corretto può esaltare una birra oppure annichilirla se sbagliato. Il modo in cui una birra viene servita: chi si occupa della mescita, che sia da un fusto o, come nel caso di questa masterclass, dalla bottiglia, deve scegliere se conservare la carbonatazione oppure se sgasare la birra e nel caso di quanto: ogni tipologia ha delle regole in generale, ogni birra ha delle regole particolari.

Semplice? No, affatto. Occorre conoscere le birre, capire cosa il birraio volesse trasmettere con quella birra, interpretare il tutto e scegliere ogni punto ad hoc. Eppure questo è il mestiere di Michele Galati, publican di lungo corso, dedicato alle birre artigianali, di piccoli birrifici. E questo è quello che cerca di trasmetterci in quest’ultima masterclass, come dicevo sopra la più importante. Forse la meno affascinante, ma la più importante e quella che poi, alla prova dei fatti, può cambiare una bevuta in un locale: può essere un dramma o può essere la porta del Nirvana. Non dipende da noi, non dipende dal birraio, non dipende dal distributore, ma da chi ci serve quella birra in quel dato bicchiere.

Si comincia con le scuse degli organizzatori sull’orario posticipato, dovuto ai laboratori precedenti che hanno “poco elegantemente” sforato. Viene chiaro che si dovrà correre, visto che sono quasi le 20 e lo staff dell’albergo a breve ci metterà alla porta. Galati apre come sempre sul tema della pulizia dei bicchieri: non basta una lavastoviglie, per quanto sofisticata e moderna, il bicchiere deve essere perfettamente risciacquato, senza residui di sapone e tantomeno di brillantante. La prova è semplice e basta un’acqua frizzante a riempire il bicchiere per vedere quanto cambi, alla vista, tra quello ben lavato e risciacquato e quello con residui. All’assaggio è ancora più impressionante notare quanto il bicchiere non curato restituisca un’acqua con una “bolla” fastidiosa. Per questo Galati ha passato il pomeriggio a lavare a mano i bicchieri, concetto che ha lasciato i sommelier di supporto alla sala a strabuzzare letteralmente gli occhi. E me, ogni volta che entro in un locale, a domandarmi in che bicchieri beviamo…

E il confronto tra i due bicchieri lascia senza parole gli astanti: tutti erano convinti che l’acqua non fosse la stessa, ma due diverse, una troppo gassata, fastidiosa, l’altra gassata il giusto. Eppure, come dicevo, erano state servite nello stesso modo e dalla stessa bottiglia. Il pubblico è catturato e ha capito che qui non si scherza, in sala non vola una mosca, anche Kuaska, che di solito interviene nei laboratori altrui, e che ovviamente questi argomenti li conosce a memoria, è seduto e attento a ogni parola. Si continua con la scelta del bicchiere e Galati spiega alcune regole in base alla stile, alla tipologia insomma della referenza scelta e prosegue poi con le diverse tecniche di spillatura, a seconda della scuola di provenienza della birra. Una volta fatte tutte le premesse del caso, Michele fa un esempio pratico e poi chiama i partecipanti a provare. Ognuno si trova con una bottiglia di Ungespudetes di Mahr’s Brau in una mano e un bicchiere nell’altra. Sguardi di terrore, altri più temerari, ognuno si versa la propria birra e inizia a capire il collegamento con i bicchieri di acqua.

I birrai in sala invece guardano soddisfatti Michele: con lui si sentono garantiti dal suo lavoro e la speranza è che molti altri, da domani, servano in questo modo le birre. Eleganti alla vista, pulite e gentili sul palato. Qualcuno tra il pubblico fatica a gestire la schiuma. Michele quando mesce una birra ha la stessa eleganza di Roger Federer che esegue una volèe e in entrambi i casi sembra facile. Trovandosi nei pressi di una rete di un campo da tennis ci si accorge che il colpo non è poi così facile, lo stesso quando si versa una birra in un boccale.

Purtroppo non per tutti è facile capire i concetti che esprime Michele, in così poco tempo, e ancora resta fermo su preconcetti che in realtà arrivano dal mondo delle multinazionali. Michele non si arrende ovviamente, e va più a fondo dei vari concetti, mettendo all’angolo queste idee antiche e senza fondamento e può proseguire con la seconda birra, del siracusano Alveria, la 100bocche, una Saison belga di ispirazione (e ottima esecuzione), in cui Michele consiglia di tenere una certa quantità di Co2, per esaltare il profilo aromatico del lievito, che caratterizza questa birra. Invita gli astanti a dividersi a coppie e di versare la birra correttamente uno e scassata l’altro e di confrontare. La birra versata correttamente non solo è più piacevole e rotonda al naso, ma è molto più facile da bere, contrariamente a ogni ipotesi, essendo la più frizzante. 

Stesso discorso con un’altra birra sempre siciliana, ma ragusana, la Juta di Yblon, birra ben diversa di tipologia, essendo ispirata al mondo anglosassone delle Porter (birre scure, quasi nere), dimostrando al birraio stesso, Marco Gianino, presente in sala, che il bicchiere che normalmente lui consiglia è meno efficace di quello che Michele propone! A chiudere il laboratorio di una Tripel di Extraomnes, prodotta da Luigi “Schigi” D’amelio, anche lui presente in sala e che guarda soddisfatto il servizio che propone Michele per la sua creatura. Galati chiude un po’ di corsa, dopo poco più di un’ora, raccontando le differenze tra vino e birre nel servizio. Si evince che per la birra è un po’ più complicata la mescita.

Adoro Michele e ritengo il suo lavoro importantissimo per supportare tutto il mondo delle birre artigianali italiane (e non). Fosse possibile lo metterei sotto l’Unesco, come monumento vivente. Proprio per questo mettere questo laboratorio nel tardo pomeriggio del sabato, con i minuti contati è un delitto: consiglio di riproporlo l’anno prossimo con lo spazio necessario, in un momento più consono. Ora però il mio in bocca al lupo a chi dovrà servire una birra ai partecipanti di a questa Masterclass, posso consigliare un corso completo di Michele e, nel frattempo consiglio di procurarsi il libro, “Servire la birra. Gestire al meglio attrezzatura, spillatura e mescita”, che sta uscendo proprio in questi giorni in libreria, scritto da Michele Galati e Davide Bertinotti (edizioni Lswr).

ALCUNE IMMAGINI DEL SEMINARIO (ph Vincenzo Ganci)