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La novità

This is not a sushi bar: la catena festeggia 10 anni e apre un nuovo locale

10 Giugno 2018
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di Michele Pizzillo, Milano

Nel mondo della ristorazione milanese è una storia particolare questa di “This is not a sushi bar”, la catena di sushi delivery che per prima ha portato in Italia la consegna a casa o in ufficio della cucina giapponese.

Cominciamo dalla frase che accompagna il marchio fin dalla sua fondazione nel 2007, “Unconventional sushi”, perché non si riferisce esclusivamente alle ricette in menu oppure ai toni a tratti dissacranti della comunicazione, ma racconta la storia stessa di This is not, nata prima come digital company per iniziativa di tre ex consulenti e poi diventata ristorante. Caratteristica principale è il delivery, gestito in modo centralizzato da un software sviluppato internamente, introdotto per il sushi a Milano molto prima della comparsa delle delivery app e prima che la consegna a domicilio diventasse un’abitudine ma, come ci dicono le cronache di questi giorni, anche un problema sociale, superato da questa catena di sushi delivery con la scelta di assumere i consegnatori con stipendi commisurati all’importanza del loro lavoro, dice con orgoglio Matteo Pittarello, co-fondatore e presidente di “This is not a sushi bar”. Oltre che dare valore alle persone, che è il principio programmatico alla base dell’attività di questo brand e prende corpo attraverso quello che Pittarello e soci definiscono “hr liquide”, ovvero la possibilità di cambiare le mansioni e crescere all’interno del team a seconda delle capacità della singola persona.

Con il decimo anniversario, e quattro ristoranti in attività, Pittarello e suoi amici-soci (la proprietà è tutta italiana), hanno deciso di cambiare qualcosa alla loro creatura di successo. Così, sono state introdotte nuove ricette, nuovo design e l’introduzione del “sushi dj” in cucina. Novità tutte presenti nell’ultimo “This is not a sushi bar” aperto in questi giorni a Milano, in via Raffaello Sanzio, arteria che attraversa uno dei quartieri eleganti della città. Con la nuova apertura cambia l’approccio alla community di clienti, spiega Pittarello: “pur rimanendo la catena milanese del sushi a domicilio, abbiamo voluto creare un ambiente più accogliente e funzionale rispetto agli altri quattro ristoranti per favorire il consumo in loco e per farci conoscere e vedere all’opera dalle migliaia di clienti affezionati che generalmente interagiscono con noi tramite sito, app o social media.”


(Tartare di salmne, avocado e mandorle)

Partiamo dal design, che da estremamente minimale, l’architetto che lo ha realizzato, Andrea Laghi, lo ha reso più articolato, per incarnare la volontà di raccontare attraverso forme e colori l’identità del quinto This is not a sushi bar: non un ristorante giapponese, non un ristorante tradizionale, bensì un luogo d’incontro, non solo virtuale, per una community non convenzionale. A caratterizzare la cucina, per esempio, è la console ergonomica studiata per i sushi men: un piano di lavoro che si sviluppa attorno ai cuochi e che permette loro di avere ingredienti e strumenti a portata di mano, semplificando la preparazione. “Siccome per noi preparare sushi è come combinare e assemblare note di gusto – spiega Jerome Fandiño, capo della squadra di sushi men – adesso che abbiamo una vera e propria consolle studiata per noi, hanno deciso di definirci sushi dj.”

Le ricette proposte dal ristorante, gestito da italiani, con in cucina personale in prevalenza filippino, non rispecchiano le aspettative dei puristi del sushi, ma sono frutto di sperimentazioni, contaminazioni e ispirazioni che si sono susseguite nel tempo. Nel “menu privè”, ad esempio, compaiono l’uramaki Santa Monica, un inno all’avocado californiano, gli uramaki Broadway e Black Rainbow impreziositi dal sesamo placcato in oro alimentare e messo in risalto dal nero di seppia in cui è bagnato il riso e l’Hip Hip Urràmaki nato per festeggiare i 10 anni di attività racchiudendo in un unico roll i “pesci” più venduti fino a quel momento. Il primo piatto a comparire in menu è il cirashi sbagliato, ovvero una rivisitazione del noto piatto giapponese che vede unire gli ingredienti immancabili nella dispensa di uno studente o di un single: riso, tonno e maionese.  La proposta gastronomica è studiata per soddisfare anche le esigenze di vegetariani (ad esempio l’uramaki green valley, con pomodori secchi e philadelphia) e vegani (con il futomaki vegan, un roll ripieno di insalata, avocado e cetriolo). Con l’inaugurazione del quinto shop nasce l’uramaki Raffaello, un roll di riso con alga nori, salmone bagnato nel cognac, scaglie di cioccolato fondente, fragole, avocado, pepite di cioccolato e semi di sesamo dorati.

In occasione dell’apertura del quinto locale, Pittarello ha parlato dei programmi futuri della compagnia. Come la decisione di aprire due nuovi negozi, uno in città, nella zona trend per la ristorazione, Porta Romana e un settimo nell’hinterland milanese.  L’obiettivo per il 2019, poi, è l’espansione in altre regioni del Centro-Nord. “This is not a sushi bar” ha chiuso il 2017 con 1,4 milioni di fatturato e prevede una crescita tra il 15 e il 20% per il 2018. Intanto, nel corso degli anni, si sono aggiunti ai tre fondatori otto nuovi soci tra i quali Fabio Ionà, noto fotografo che opera nel settore dello spettacolo.