Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 111 del 30/04/2009

L’AZIENDA/2 Antica Tindari, la cantina matura

30 Aprile 2009
tindari tindari

L’AZIENDA/2

La casa vinicola punta sulle uve essiccate e lancia nel mercato un vendemmia 2004 affinato 12 mesi in barrique. L’agronomo: “Vogliamo risollevare le sorti della viticoltura nel Messinese”

Antica Tindari,
la cantina matura

Un Mamertino Doc Riserva in bottiglie numerate è la novità di Antica Tindari, piccola azienda del Messinese creata nel 2002 su terreni che la famiglia Martino possiede da generazioni. Così, a pochi anni dalla sua nascita, arriva nel mercato con un prodotto di nicchia in seimila pezzi.

Un rosso del 2004 affinato 12 mesi in barrique che, spiega l’agronomo Alberto Forte, «rappresenta un’esaltazione dei vitigni autoctoni siciliani». Si tratta infatti di un blend di Nero d’Avola al 60%, Nocera al 35% e Nerello mascalese al 5%, «una piccola percentuale – puntualizza Forte – che però conferisce al vino dei tannini importanti». Le uve vengono selezionate e raccolte a mano con una resa di circa 65 quintali per ettaro, e vengono coltivate rispettando le regole dell’agricoltura biologica. L’azienda ha infatti certificato con l’ente Ccpb i suoi vigneti e anche l’uliveto dal quale si ottiene un olio extravergine di oliva, le cui tremila bottiglie da mezzo litro vengono integralmente assorbite dal mercato milanese.
Oltre all’aspetto produttivo l’azienda punta alla valorizzazione integrale del territorio. Infatti all’interno dei suoi 20 ettari sono stati realizzati percorsi naturalistici e periodicamente vengono organizzate degustazioni dei vini della tenuta in abbinamento ai prodotti tipici locali. Tra i vini che hanno più successo, il Kantico, un passito rosa che viene venduto nelle enoteche dell’Italia centrale e settentrionale, e che in Sicilia si può trovare solo in azienda, a Taormina e a Panarea.
«Riusciamo ad ottenere un passito rosa aumentando dal 5 al 15% la percentuale di Corinto nero nel blend, cosa che possiamo fare visto che ci troviamo fuori dalla Doc Malvasia delle Lipari», precisa l’agronomo. Che prosegue: «La forma di allevamento è la spalliera, con la differenza che le piante di Malvasia vengono potate alla Gujot, mentre il Corinto nero a cordone speronato: così riusciamo a fare esprimere al meglio i due vitigni».
Sul solco della tradizione le uve vengono raccolte surmature intorno alla prima metà di settembre, con una resa di circa 30 quintali per ettaro, e poi vengono lasciate essiccare su graticci. Intorno al 15-20 ottobre avviene la selezione degli acini, la loro pressatura soffice e la vinificazione in rosa, con una resa complessiva dell’uva in vino del 30% circa. Il risultato è un vino passito da meditazione che rappresenta una sintesi tra tradizione e innovazione. «La mission dell’azienda è quella di dare il proprio contributo al rilancio della viticoltura del Messinese, oscurata per troppo tempo dal successo delle altre province – conclude l’agronomo – nonostante abbia anch’essa un patrimonio non indifferente sia in termini produttivi che ambientali e paesaggistici».

Annalisa Ricciardi