Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 111 del 30/04/2009

PROVATO PER VOI La confessione di un “caciodipendente”

30 Aprile 2009
cacio cacio

PROVATO PER VOI

Ragusano Dop semistagionato, perfetto equilibrio fra salamoia e freschezza. Le ragioni della scelta di formaggi a latte crudo. La conferma arriva da quelli affinati da Angelo Dipasquale

La confessione
di un
“caciodipendente”

Ho un debole per il Ragusano, uno dei formaggi Dop siciliani. Mi piace soprattutto quello semistagionato. Lo trovo più morbido e più facile da mangiare. Con un pezzo di pane bianco ne mangerei a chili.

Quando sono a Ragusa conosco il posto dove acquistarlo ad occhi chiusi. Si chiama Casa del Formaggio Sant’Anna e si trova in corso Italia al civico 330. Lo gestisce Angelo Di Pasquale che non è solo un intenditore e venditore di formaggi. È qualcosa di più perché Di Pasquale i formaggi li compra appena fatti e li stagiona. Il tempo e l’umidità fanno il resto. Insomma Di Pasquale è un affinatore, figura rara in Sicilia – purtroppo – ma importante per l’attività casearia.
Ad Angelo Dipasquale basta uno sguardo per riconoscere le potenzialità di un cosacavaddu, ad avere la certezza che quel formaggio, un giorno, da grande, potrà diventare un Ragusano Dop.
I Dipasquale affinano a Ragusa dal 1959 in alcune grotte che si trovano ad un paio di metri sotto il livello della strada, a meno di due chilometri da corso Italia. Tre grotte scelte per le loro peculiarità morfologiche, per la capacità di mantenere la temperatura e l’umidità, per le muffe che vi si formano. Una maturazione che passa attraverso la salamoia la cui durata si è ridotta dalle originarie sei settimane agli attuali 14 giorni per il Ragusano (uno per ogni chilo) e l’esposizione per almeno quattro mesi legati a corde di giunco appositamente realizzate da artigiani locali.
L’altro giorno un collega è andato da quelle parti e ormai anche per lui Di Pasquale è una tappa d’obbligo. Gli ho chiesto di acquistarmi una fetta di Ragusano semistagionato. L’ha portata, sottovuoto, ne ho assaggiato un pezzo. Il formaggio era buonissimo. Molto dolce come è giusto che sia. È il segno che un caciodipendente come me aspettava da tempo. I formaggi non devono essere mai salati, non devono pungere la punta della lingua che è la parte pronta a individuare il salato che c’è nei cibi. Devono essere dolci, pastosi, persistenti, ricordare l’erba, il pascolo delle nostre campagne come può e deve accadere per i buoni formaggi a latte crudo che si producono anche qui in Sicilia. Non sappiamo chi fosse il casaro che ha venduto questa forma di Ragusano a Di Pasquale. Magari cercheremo di scoprirlo. E lo scriveremo. Però qui conta segnalare che sulla strada dei formaggi stiamo facendo progressi importanti. Siamo lontani dai carrelli dei formaggi nei ristoranti «à la page», siamo lontani dalla giusta abitudine di proporli a fine pasto, come un sublime dessert. Non c’è cultura del formaggio, ahimè. Pur tuttavia qualcosa sta cambiando. Tocca a noi impenitenti gourmet fare il resto. Elogiare i più bravi, fare passa parola tra amici e colleghi, spiegare perché un formaggio a latte crudo è più buono ed una grande risorsa per il territorio. E sono convinto che quelli come Di Pasquale aumenteranno. Per il bene del nostro palato, della nostra economia e dei nostri paesaggi.
 

F. C.