Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 106 del 26/03/2009

VIP A TAVOLA “Sul palco mi sento un profiterol”

26 Marzo 2009
dix dix

VIP A TAVOLA

Per Gioele Dix il cibo è metafora dei suoi spettacoli. “In scena sono come un dolce unico, da mangiare senza nient’altro e senza limiti. Io in cucina? Amo sperimentare”

“Sul palco mi sento
un profiterol”

“Sul palco mi sento un profiterol”. Nelle parole di Gioele Dix viene fuori tutta la sua passione per il cibo, che per lui è anche metafora dei suoi spettacoli. Attore comico teatrale e televisivo reduce dalla lunga stagione sotto il tendone di Zelig, Dix è attualmente impegnato nel suo ultimo spettacolo di cabaret Dixplay, per la regia di Giancarlo Bozzo.

Sul palco, dice di sentirsi proprio come un dolce, un dolce unico come il profiterol, uno di quelli che si mangiano da soli senza nient’altro.

Mangiando cosa ricordi della tua infanzia?
“La stracciatella in brodo, prezzemolo, parmigiano e il buon senso di mia nonna che per aggirare la mia avversione per le brodaglie mi chiamava con la sua voce squillante mentre era ai fornelli dicendomi ‘vieni a vedere come impazzisce l’uovo’. Questo piatto è per me un ricordo di tenerezza e di raggiro e soprattutto di carattere, come quello affettivo di mia nonna e della sua voce forte quasi da attrice teatrale in scena”.

Per il cibo pensi valga la stessa regola del teatro? E cioè che all’interno di una compagnia hai un sapore mentre da solo devi fare a meno dei contorni.
“La verità è che sono io che contorno gli altri, nel senso che pur facendo piatto unico nei miei lavori teatrali non sono mai realmente solo. È un’illusione creata alla perfezione da bravi tecnici e direttori di scena. E poi credo che il dolce non debba mai essere mangiato a fine pasto, perché così facendo si annulla la sua valenza di ‘godimento felice’. Ecco, io sono sul palco un dolce unico, come i profiterol fatti in casa (mia madre me li faceva per ogni compleanno), che vuoi mangiare senza nient’altro, e magari esagerando. Ed è un po’ la metafora dei miei spettacoli, cerco sempre di godermi quell’istante in cui da solo ti ritrovi sul palco e assapori il lavoro che stai facendo, molto prima che ti arrivi la reazione del pubblico. Come un buon bignè ripieno di crema fatta in casa”.

Nel tuo spettacolo La Bibbia ha (quasi) sempre ragione reciti le parole di re Salomone “Vanità delle vanità: niente si crea di nuovo tutto è già stato”. Questo vale anche per il condimento di un piatto?
“Non credo. Io cucino molto, amo sperimentare, vado un po’ a naso.Anche se mangiando spesso fuori casa capita che a volte resti folgorato quando sento un sapore nuovo. Oggi viviamo nell’era del sapore planetario, tutto tende ad essere uguale e così se c’è qualcosa di originale lo capisci subito.perché ti colpisce. E allora incuriosito mi alzo da tavola e vado a chiedere allo chef se quella che c’era nel piatto era proprio un pizzico di maggiorana.”

Che cosa a tavola ti fa “incazzare, sempre, costantemente, come una bestia”?
“L’illuminazione, quando ce n’è poca (come le cene a lume di candela dove non vedi quello che ti mettono davanti) o magari è sbagliata, come quei neon sparati in faccia. Le liste dei menu esageratamente ricche. O quando ti arriva il cameriere e prima che ti abbia portato qualunque cosa ti chiede: ‘Cosa beve?.” Cosa beve? Ma se non so cosa mangio, come posso sapere cosa bevo! E ancora quando ti appoggiano sul piattino quel foglietto da blocchetto a righe con su scritto il conto, con la sbarretta sul prezzo più alto e subito sotto a penna quello vero ma che non c’entra assolutamente niente. E allora io a questo punto con molta calma.molta calma, gli chiedo ‘mi faccia pure la fattura!'”.

Fabiana d’Urso