Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 138 del 05/11/2009

VIVERE DI VINO “La nostra crisi d’identità”

05 Novembre 2009
fanale-salvatore fanale-salvatore

VIVERE DI VINO

Salvatore Fanale, agente di commercio: “Nell’Isola c’è una baraonda incredibile, per esempio il Nero d’Avola viene prodotto ovunque. Altro che Doc Sicilia.”

“La nostra crisi
d’identità”

Sarà perché è nato il 6 novembre, giorno in cui si stappa il novello, ma Salvatore Fanale ha fatto del vino molto più che il suo lavoro. “Appassionatissimo” si definisce, lui che il vino lo rappresenta e lo distribuisce, essendo agente di commercio già da anni.

Ma come è nata questa passione?
“La mia è una passione forte che risale agli anni in cui studiavo all’Industriale per diventare perito chimico e facevo il barman di notte. Dai cocktail al vino il passo è stato breve: mi sono appassionato al gusto, ho cominciato a fare corsi, a creare le carte dei vini, finché mi ha chiamato a lavorare un’enoteca, dove sono rimasto per cinque anni”.

Com’è per un appassionato di vino lavorare in un’enoteca?
“E’ come una biblioteca e ti dà tantissime opportunità. Ho assaggiato circa ottomila vini, differenziando con metodo. Per ogni vitigno ho assaggiato almeno 200 tipi, da tutto il mondo, per esempio dei siciliani ho assaggiato lo stesso vitigno prodotto sull’Etna o sul mare, per approfondire gusti e dinamiche del mondo del vino. Ma dopo aver assaggiato, venduto, acquistato, appreso, ho manifestato l’interesse di vendere vino fuori dall’enoteca e sono stato contattato dalla Maurigi, l’azienda per cui lavoro da diversi anni”.

Com’è il suo lavoro?
“Mi reputo fortunato perché concilio la mia passione con la mia attività, quindi la routine e la pesantezza del lavoro ordinario sono alleggerite dal mio interesse. Si tratta di un lavoro delicato, nessuno ti controlla, non hai orari, ma non per questo lavori poco, anzi: ti ritrovi a lavorare forse il triplo rispetto ad essere dipendente”.

Qual è il suo vino preferito?
“Ho una tendenza per i vini francesi, che ad oggi rimangono emblema dell’eleganza. Per riuscire a trovare l’equilibrio nel vino non occorre per forza la bottiglia costosa, conta più ciò che il vino comunica. In generale, comunque, sono un bianchista, anche perché di solito il rosso è servito male ovunque: temperatura ambiente non significa niente se a Palermo ci sono 30 gradi. Viene meno la piacevolezza nella bevuta del vino e un vino bevuto a temperatura sbagliata amplifica tutto ciò che ha di negativo: saper gestire la temperatura potrebbe virare il consumo dei vini”.

C’è qualcos’altro di sbagliato oltre alla temperatura?
“In Francia tutto ha un’identità, qui in Sicilia c’è una baraonda incredibile: nessuna identità, dai vitigni ai territori, dalle bottiglie ai colori. Ad esempio il nero d’Avola viene fatto ovunque: in spiaggia a Menfi come a 500 metri sull’Etna. I produttori non sono capaci di consorziare, di mettere in comune dei territori  ricchi e completi. E spesso perdono l’identità, presi dalla foga di produrre vino che ha contagiato molti negli ultimi dieci anni: ci si improvvisa produttori e si perdono di vista le potenzialità, e così è inutile parlare di Doc Sicilia”.

Antonella Giovinco