Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 200 del 13/01/2011

L’AZIENDA/2 Il vino dei re

13 Gennaio 2011
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L’AZIENDA/2

Sara e Luca Carbone hanno scommesso sulla valorizzazione dell’Aglianico del Vulture. Con i loro 10 ettari in provincia di Potenza hanno ridato lustro a quel prodotto amato da Carlo d’Angiò

Il vino dei re

Una grande Doc del sud, un vino amato dai re, l’Aglianico del Vulture ritorna ai suoi antichi splendori grazie alle nuove generazioni del vino lucane.

Tra queste vi sono Sara e Luca Carbone che hanno scommesso nella sua valorizzazione, quello stesso vino di cui Carlo d’Angiò ne ordinava 400 some, il quantitativo di barili che un asino riusciva a trasportare. Appartenenti ad una famiglia di viticoltori, hanno ridato vita alla produzione nel 2005 prendendosi cura di 10 ettari nel territorio di Melfi, in provincia di Potenza, proseguendo una lunga storia dovuta interrompersi. I Carbone hanno preso a cuore le qualità di questo vitigno in un periodo, siamo a metà degli anni 80, in cui il vino del sud era diventato sinonimo di vino da taglio. Oggi la cantina ne produce appena 45.000 bottiglie. Frutto di un terroir donato da un vulcano spento, il Vulture appunto. Per i due giovani produttori rimettersi in gioco ha significato riportare in vita un sogno, il passato. “Siamo cresciuti nelle vigne, quando i miei decisero di abbandonare la produzione dedicandosi solo alla viticoltura, lo abbiamo vissuto come un trauma, eravamo piccolini. Per questo non abbiamo esitato a riportare in bottiglia le uve che venivano vendute a terzi”, racconta Sara. Nei loro ricordi di infanzia l’Aglianico è il protagonista.


Degustazione alla cieca

“La Vendemmia era per noi il momento più atteso, coincideva con la festa di Ognissanti, si andava tra i vigneti tutti insieme. Il ricordo che evoco però spesso con mio fratello vede riuniti tutti i componenti della famiglia attorno al tavolo per assaggiare il vino, le sue evoluzioni, per testarlo alla ricerca dei difetti. Abbiamo vivida questa immagine di loro concentrati o intenti a scambiarsi pareri con i calici in mano. Diciamo c’era meno chimica rispetto ad oggi, questi erano i metodi empirici di una volta”. Con la stessa competenza del padre i due fratelli seguono il vino dalle vigne alle grotte di tufo in cui riposa, antiche cave sotterranee di origine medievale ristrutturate per contenere la bottaia. La tradizione invece li guida ogni giorno nel preservarne la personalità, caratteristica organolettica che non ha eguali. “L’Aglianico del Vulture è austero ed esuberante allo stesso tempo.


Il Vulture e i vigneti Carbone

Non è certo un vino facile, morbido – ammette Sara -. Non piace a tutti proprio per questa sua spigolosità, si fa sentire in maniera prepotente”. Marcature che lo rendono longevo e conferite dal microclima e dai terreni in cui prende vita. Fazzoletti di terra a 500 metri di altitudine immersi in un clima rigido, insolito per l’estremo sud dello stivale. Un terroir adatto anche a grandi bianchi ma che all’Aglianico conferisce unicità. L’origine di questo vino non però solo vitivinicola, anche gastronomica, come spiega la produttrice: “Possiamo dire che nasca da una selezione culturale, gastronomica. Storicamente dato da un tipo di cucina forte dove prevalgono i sapori dell’entroterra in cui non c’è stata mai la parte del pesce. Questo ha fatto sì che  il  contadino privilegiasse il rosso. L’Aglianico è così l’unico in grado di accompagnare i nostri piatti”. Un esemplare di vino indissolubilmente legato al territorio. Non a caso in casa Carbone è stato battezzato con nomi che revocano grandi re del passato protagonisti nel territorio di Melfi, come Federico II e Carlo d’Angiò. Stupor Mundi, Terra dei due fuochi e 400 Some sono le etichette della cantina a cui si aggiunge anche un bianco di Fiano.

Manuela Laiacona