DAL SALONE DEL GUSTO/IL PRODOTTO
A Torino boom di consensi per la ‘nduja, la specialità simbolo della calabria. Il pioniere è il produttore Luigi Caccamo. Chiesto il riconoscimento Igp
Momento piccante
Graziella Barbalace e Luigi Caccamo
Tra tutte le connotazioni del peperoncino ce n’è una che a tutte le latitudini sta conquistando i palati. Al Salone del Gusto di Torino ha anche registrato un boom di consensi, da parte di italiani e stranieri. Parliamo della ‘nduja, la bandiera della tradizione gastronomica calabrese.
Il modo migliore per apprezzarla è spalmarla sul pane. A darle questo nome fu il re di Napoli Giacchino Murat (anduille in francese siginifica salsiccia) oggi è annoverata nel Nuovo Zingarelli. La sua origine però è nelle cucine di Spilinga, in provincia di Vibo Valentia nato come rimedio per recuperare la carne della testa del maiale. Tramandato da donna a donna, per filo diretto, nel corso delle generazioni la ricetta ha mantenuto intatto il metodo di lavorazione e cambiato solo il contenuto, variato con la carne del maiale. Custodita per secoli nelle mura di casa, solo di recente è diventata una produzione artigianale.
Uno dei produttori artigianali di riferimento è stato Luigi Caccamo che ha creato una piccola azienda attorno a questa specialità nel 2005 e che iggi conta sei dipendenti. “Si rischiava di perderla. Un tempo la ‘nduja era alla base dell’economia di casa, poi con il lavoro impiegatizio è diventata una ricchezza secondaria. Così ho deciso di avviarne la produzione. Darle un marchio, un’identità che la rendesse riconoscibile e inimitabile era il mio obiettivo. Anche se il marchio è Spilinga stessa”. Caccamo è stato anche tra i promotori di un consorzio di tutela che è nato nel 2008, spinto dalla volontà di non relegare l’immagine della ‘nduja a prodotto di scarto ma valorizzarlo come simbolo di un territorio e dell’identità di questa cittadina che conta appena 1500 abitanti.
Sebbene sia una specialità di nicchia e il suo mercato stia crescendo, del 25% in questo ultimo periodo conferma il produttore, con una produzione che va dai 600 ai 700 quintali l’anno.
Piace la sua anima piccante e contrariamente a quanto si possa immaginare, la delicatezza che lascia in bocca. Di peperoncino essiccato ne contiene il 30%. Si può degustare tranquillamente durante un pasto, non copre sapori come precisa: “Tutti pensano che sia un sapore forte, invece è la ‘nduja è delicata. È una sorpresa per chi la assaggia la prima volta. Per questo piace”.
Talmente tanti sono i consensi che anche la gdo avrebbe deciso di dare una vetrina a questo prodotto. “Per partire basta produrre circa 100 quintali l’anno e servire una decina di punti vendita attenti alla qualità, il resto verrà da solo”. La ‘nduja assicura il produttore può dare un reddito non solo a chi produce ma anche all’indotto che sta nel territorio. Un investimento di piccole proporzioni. “Basta mettersi 50.000 euro in mano per avviare questa produzione – assicura -. Basta davvero poco. Purtroppo però questo ha fatto sì che nascessero delle imitazioni. Ultimamente si trova ‘nduja da tutte le parti. Questo significa che è un prodotto che viene richiesto. Ma quella originale è quella di Spilinga. Dobbiamo difenderla e custodire questa ricetta”, per tutelarne il pregio infatti il consorzio ha avanzato a Roma la richiesta per il riconoscimento Igp.
Manuela Laiacona