Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 77 del 04/09/2008

L’INCHIESTA Il linguaggio della carne

03 Settembre 2008
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    L’INCHIESTA

carne77.jpgDoveroso per un gourmet imparare le parti di un vitello. Piccola guida per conoscere quelle poco costose ma succulente. «E per il “tritato” attenti all’acquisto»

Il linguaggio
della carne

Il cibo ha il proprio vocabolario, un gergo che varia da prodotto a prodotto e da un territorio a un altro. Ciò vale, per esempio, per il vino e tutte le fasi della trasformazione dell'uva, per il mondo della pesca o dell'agricoltura. E vale anche per la carne, con una serie di termini che identificano le varie parti dell'animale, che segnano la netta distinzione tra la parte di un bue, quella di un vitello o di un maiale, che identificano gli elementi più pregiati e quelli meno nobili.

Quanti, ad esempio sanno che «girello» è quella parte del quarto posteriore di un bovino normalmente utilizzata per le scaloppine? Che «reale» identifica una parte del quarto anteriore usata per brasati o bolliti e che il «quarto pistola» altro non è se non la sezione del quarto posteriore che, per la sua forma, richiama alla mente proprio una pistola?
Questi, naturalmente, sono solo alcuni esempi, ma la lista si allunga a dismisura se si pensa che ad ogni termine ne corrispondono tanti quanti sono i dialetti locali, ben riassumendo l'importanza che ciascuna parte riveste nell'alimentazione di quella data porzione di territorio.
Ecco allora che la lombata diventa in palermitano trinca, la fesa fasciatura, il girello lacertu, la polpa di spalla sfasciaturedda, il geretto anteriore manuzza, la noce bausa. E ancora lo scamone si identifica come sottocudata, il campanello diventa pisciuni e il petto bruschetto.
«In Sicilia – racconta il professor Vincenzo Chiofalo, presidente del Consorzio ricerca Filiera carni, Corfilcarni – si consumano molti tagli posteriori che sono meno grassi rispetto agli anteriori tipo il petto, la punta di petto o il biancostato, che, invece, sono più usati al nord per preparare, ad esempio, i bolliti. I siciliani privilegiano la lombata, il filetto, le costate». Ma qualcosa sta cambiando. I ritmi più serrati delle famiglie moderne che hanno a disposizione sempre meno tempo da dedicare alla spesa e alla cucina, hanno fatto sì che anche le macellerie si adeguassero alle nuove esigenze ed il diffondersi di preparati nelle grandi catene di supermercati e di trasformati nelle botteghe sotto casa, hanno portato ad un maggiore utilizzo consapevole di tutti i tagli di carne.
Nel negozio del macellaio la carne bovina giunge in «quarti» che vengono successivamente divisi in tagli che in base alle caratteristiche organolettiche (cioè di aspetto e di sapore) hanno un diverso valore commerciale: i tagli di prima (1° categoria) provengono dal quarto posteriore, cioè dalle cosce, dai lombi, dalle natiche (filetto, controfiletto, roast-beef, fesa, noce, scamone, magatello, cosciotto, arrosto); i tagli di seconda provengono dal quarto anteriore (coppa, punta, reale, spalla, fiocco, carré); i tagli di terza derivano dal collo, dall'addome, dalle sottospalle (collo, biancostato, garetto, muscolo, ossibuchi, testina).
«I consumatori oggi sono più attenti – dice Chiofalo – e in macelleria non improvvisano, usando termini sempre più specifici per comprare ciò che desiderano. Ma non solo. Anche chi lavora con la carne è diventato sempre più preciso e gli chef, ad esempio, chiedono determinati tagli a seconda del piatto che devono preparare, si preoccupano di conoscere le modalità di conservazione, sono attenti al colore, chiedono se la carne è stata sottoposta a frollatura (un periodo di “maturazione” che rende la carne più tenera, ndr)».
La scelta, naturalmente, varia in base all'utilizzo che si vuol fare della carne. «Bisogna tenere presente che i tagli posteriori hanno una percentuale di grasso intorno al 4%, quelli centrali del 5% e quelli anteriori del 10 %», continua il presidente del CorfilCarni.
Comunemente, ad esempio, si pensa al filetto come alla parte migliore dell'animale, perché più tenera e meno grassa, ma bisogna sfatare un paio di miti: «Il grasso – dice Chiofalo – non sempre è da considerarsi un elemento negativo perché non fa male e rende la carne più succosa», inoltre, «il filetto, spesso usato nell'alimentazione dei bambini, è carente di selenio e dunque meno adatto del bastone di filetto o del diaframma che io consiglio sempre perché ricche di sangue e più nutrienti», spiega Nino Cammaroto, presidente della Coldiretti e dell'associazione allevatori di Messina, imprenditore agricolo che gestisce uno spaccio aziendale.
E per il palato degli adulti, Cammaroto consiglia di affidarsi al cappello del prete, un taglio brutto a vedersi ma molto saporito con il quale fare un buon arrosto o ad un sano spezzatino, spesso sottovalutato e che invece garantisce un secondo di grande effetto per il gusto e la tasca. «Quanto al tritato, meglio scegliere un buon taglio di seconda e farlo macinare a vista piuttosto che comprare quello già pronto». E un consiglio arriva anche per i più inesperti in cucina: «Non fatevi condizionare negli acquisti dalla pubblicità chiedendo lonza, lacerto o fesa. I tagli del quarto anteriore – conclude Cammaroto – anche se meno pubblicizzati, sono altrettanto buoni».

Clara Minissale

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