Camillo Privitera, presidente regionale dell’Ais. “Colpa nostra se la Doc è maltrattata. Seguire l’esempio della Franciacorta per il futuro. E per piacere non si chiamino più stabilimenti i luoghi di produzione…”
“Cari produttori
di Marsala,
siate più coraggiosi”
“Se il Marsala non va avanti è solo colpa nostra. Non si sa come proporlo. Per esempio è un vino perfetto per l’estate. È versatile, potrebbe avere mercato. Qualche modifica però è necessaria. Si pensi però ad una differenziazione, guardando magari alla Franciacorta”.
Tra le persone intervistate sulla Doc più antica della Sicilia e i suoi limiti fin troppo evidenti c’è anche Camillo Privitera, delegato regionale dell’Ais e patròn di Tocco Divino, enoteca di Acireale.
Un parere da maestro assaggiatore sul Marsala.
“È un vino estremamente rappresentativo, perché è un vino mediterraneo, di valore, di passione. Di grande complessità, morbidezza e vellutatezza, diciamo che è quanto di più profondo possa esserci in un territorio mediterraneo e siciliano. Ne ha molti di tratti positivi. Ha anche un alto livello di comunicazione. È legato a diverse vicissitudini storiche, ha un nome che identifica un territorio, proviene da un vitigno entusiasmante. È fitto il racconto che si potrebbe fare, oltre a sorseggiarlo si potrebbe parlare del Marsala per ore e raccontare un territorio fantastico”.
Però?
“Però non se ne parla. I primi a non riconoscerne le qualità sono gli stessi siciliani, basta fare una verifica al di fuori del territorio di Marsala e andare in un qualsiasi bar o ristorante, la proposta che si fa di questo vino è zero, sia come vino da consumare al bicchiere sia nella versione secca o dolce”.
Non si comunica niente. Quando mai se ne è sentito parlare?
“Forse solo quando De Bartoli in passato ha lanciato qualche strale. Paradossalmente se ne parla più nei menu come ingrediente”.
È quello che sosteniamo, putroppo. Perché non lo si comunica?
“Perché non lo si conosce. Partendo dall’agente stesso del vino, fino ad arrivare al ristoratore, non sanno cosa stanno vendendo. Ma anche i produttori stessi non si impegnano. Si pesi alla grande comunicazione che si è fatta sul Passito o sulla Malvasia delle Lipari, non è un frutto del caso ma merito dei produttori che su questi vini hanno fatto un lavoro di qualità e di comunicazione importante e significativo. O si pensi alla comunicazione che si è fatta sul Nero d’Avola, che ha molto meno da raccontare rispetto al Marsala. Perché non fare lo stesso con il Marsala?”.
Forse perché il Marsala è più difficile da proporre?
“Non è vero. Il Marsala è estremamente versatile, e parlo delle tipologie superiori. Può piacere anche ai giovani. È un prodotto che è compatibile con i gusti di oggi, basta proporlo nel modo giusto ed alle temperature giuste. Ottimo come aperitivo, fresco e aromatico se servito ad una temperatura di 8/9 gradi, ideale per l’estate. Ma anche con i formaggi o con i sigari. Lo propongo in enoteca anche come vino da fine scampagnata. Non sembra un vino facile perché si pensa che sia secco e alcolico e che il consumatore non saprebbe come piazzarlo, invece vini con queste complessità possono soddisfare diverse situazioni di consumo. E quindi anche dal punto di vista commerciale è forte. Il problema è un altro”.
Quale?
“Intanto si deve fare chiarezza sul metodo di produzione. Non credo venga usato il metodo soleras come viene dichiarato. Si blocca la fermentazione con l’alcol ma non si fa il passaggio da botte a botte con la spillatura tipica di questo metodo. Poi bisogna creare una differenziazione tra le tipologie superiori e le altre dal punto di vista del disciplinare. Perché non seguire l’esempio della Franciacorta? Che da un lato vede Franciacorta solo la Docg spumante e dall’altro la Doc, che è un vino fermo, rosso, con il nome Terre di Franciacorta. Hanno avuto coraggio nel cambiare le cose, i produttori si sono uniti ed impegnati insieme senza logiche di individualismo ed oggi è il brand ed il territorio più forte. Quindi il nome Marsala, se si fanno i dovuti cambiamenti, non si perderebbe. La differenziazione può complessivamente giovare a tutto, e dare un ritorno nel guadagno nel prezzo a cascata sulle altre tipologie”.
Lo vede un vino da cantina o più da vigna?
“Per me qualsiasi vino va fatto in campagna, compreso il Marsala. Una delle cose che mi colpisce è che le cantine a Marsala vengono chiamate stabilimenti. Una parola, un’idea che ha un suono che fa capire qualcosa di diverso ad un prodotto più che a un vino. Fa riflettere. La cantina invece è quel luogo dove dalla campagna deve arrivare una materia prima il più sana possibile e che lì possa solo migliorare le sue qualità”.
In enoteca le chiedono il Marsala?
“Chiedono ancora il Marsala all’uovo quelli della mia generazione. I giovani lo hanno confinato, lo pensano al di fuori dei propri gusti. Sono i turisti che lo chiedono di più. Principalmente sono io che lo propongo e lo spingo. Anche rispetto al Porto, ne vendo di più con un rapporto 5 a 1. Se la scelta cade su un Tawny che posso vendere sugli 8-10 euro preferisco vendere un Marsala da 7, che trovo ugualmente appagante”.
Lei lo beve?
“Adoro il Marsala Vergine, per me il Marsala è quello. Lo bevo sempre al posto dell’amaro e mi piace sorseggiarlo con il sigaro”.
M. L.