Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'intervento

“Caro direttore, nei bar troppa omologazione. Vorrei cose più buone anche pagandole di più”

11 Marzo 2017
rosticceria rosticceria

“Ma perché non è più possibile mangiare un calzone al forno o fritto con la mozzarella filante dal sapore di un tempo? Perché dovete usare quella industriale?”, chiedo al titolare di un bar che sta dietro al bancone. 

“Per un pezzo di rosticceria usare la mozzarella normale? Noooo, non è possibile, ma che sta scherzando…”. Prendo un caffè e vado via sconsolato per la domanda “folle” che mi sono permesso di fare. Facendo un giro negli altri bar la situazione non cambia. Ed è veramente rarissimo poter trovare un posto dove mangiare la rosticceria degli anni passati. Dai sapori di memoria perduta. Uno per tutti per chi ha avuto la possibilità di averlo visitato: il chioschetto che c'era negli anni '70 davanti a quello che era il liceo Meli in via Libertà a Palermo. Già altri tempi. Quando in ogni bar o pasticceria c'era un tipo di croissant ognuno diverso dagli altri. Oggi sono tutto uguali o quasi. Da poco sono stati anche introdotti quelli artigianali, al carbone o vegani. Il risultato? Hanno anche questi tutti lo stesso sapore. Una sorta di omologazione al ribasso. Come quando, come ricorda lo scrittore Francesco Piccolo in un suo libro: “qualche anno fa, a qualcuno è venuta l'idea di spruzzare della polvere di cacao nel cappuccino. Come se il cappuccino così com'era non bastasse più. L'idea si è diffusa rapidamente. Dopo poco tempo, quando abbiamo ordinato un cappuccino, il barista ha cominciato a chiederci: un po' di cacao?, con una specie di saliera obesa in mano, già in posizione, e bastava un cenno di assenso per veder ruotare l'angolazione di pochissimo e una spruzzata di cacao sarebbe piovuta sulla schiuma del nostro cappuccino. Io ho sempre risposto: no, grazie. Mi piaceva il cappuccino così com'era (mi bastava, appunto). Ma è evidente che siamo stati in pochi a dire no, visto che questa storia della spruzzata di cacao è dilagata come un'epidemia vertiginosa. A tal punto che è diventata un automatismo. Se vai in un bar e chiedi il cappuccino, te lo fanno e ti spruzzano il cacao dentro. Senza più chiedertelo. Sei tu che devi dire che lo vuoi senza cacao. In poco tempo, l'evoluzione della polvere di cacao nel cappuccino è stata la seguente: prima non lo mettevano, poi hanno cominciato a chiederti se lo potevano mettere; adesso devi essere tu a dire che non la vuoi”.

Ed allora come quando si poteva scegliere se mettere o meno il cacao nel cappuccino, io caro Fabrizio, direttore di Cronache di Gusto, ti lancio una proposta che se vuoi il tuo giornale può fare diffondere. Dare la possibilità al cliente di un bar di poter scegliere la qualità dei pezzi di rosticceria o di pasticceria. Pagando anche di più per quelli con gli ingredienti non industriali. A patto però che il gusto sia realmente diverso. E questo proposito cito anche un film Usa in distribuzione nei mesi scorsi “Attacco al potere 2” dove un fantomatico premier italiano si chiamava di cognome “Gusto”. Sperando che il significato di questa parola non venga persa nel tempo.

Giovanni Franco