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L'intervento

I segreti svelati della vigna di Leonardo Da Vinci

17 Giugno 2016
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Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Lorenza Scianna che ci racconta di un incontro che si è tenuto a Milano e che svela tutti i misteri e i segreti della vigna di Leonardo Da Vinci.

di Lorenza Scianna

Le “Donne della Vite” hanno organizzato, nella villa degli Atellani, a Milano, un incontro per spiegare le attività di recupero della vigna di Leonardo Da Vinci. L’incontro è stato ideato Luca Maroni, con la collaborazione del comune di Milano, in particolare di Letizia Moratti, dell’Università di Milano e della famiglia Castellini. Fu nel 2006 che, in occasione della candidatura di Milano ad ospitare l’Expo 2015, venne un’idea straordinaria: recuperare le testimonianze cartacee sull’affascinante storia di Leonardo “naturalista”, nel suo periodo milanese.

A dare il benvenuto, Valeria Fasoli, agronoma, presidentessa dell’associazione “Donne della vite”. Il racconto è invece affidato ai protagonisti scientifici della ricerca, Attilio Scienza e Serena Imazio.
“Leonardo naturalista, era un uomo capace di vedere nella natura qualcosa che va aldilà degli occhi – dice Attilio Scienza – . Gli storici non amano la parola “casualità” ma, nella fattispecie, tutto è successo proprio per caso, in un susseguirsi di fatti, incertezze e scoperte”.
Quando Luca Maroni propose alla Moratti di cominciare a scavare nel passato di Leonardo a Milano, l’ultima traccia della vigna presente nella casa degli Atellani, era una fotografia del Beltrami pubblicata sul corriere vinicolo del 1920. A questo punto, localizzata l’area del giardino dove sorgeva il vigneto, la cosa più importante era capire se in quel luogo c’era ancora “traccia vivente” della vigna di Leonardo. “Tutte cose che ci hanno lasciato di stucco per la loro bellezza”.

Leonardo nasce ad Anchiano da Vinci, non lontano da Firenze, nel 1452 da Ser Piero, notaio, in una famiglia abbiente ma è figlio illegittimo. All’epoca ai figli avuti fuori dal matrimonio, non veniva riconosciuto il diritto all’istruzione. Leonardo non riceve dunque la formazione di base  ma viene mandato alla bottega del Verrocchio, dove entra in possesso dei segreti del mestiere, impara a miscelare i colori e dove incontra Sandro Botticelli, Il Ghirlandaio, il Perugino etc. Frequenta la famiglia de Medici presso la quale conosce molti  intellettuali. Era un genio, un viaggiatore, la sua omosessualità però, lo costringe ad allontanarsi da Firenze. Pensa dunque di trasferirsi a Milano ma ha bisogno di un mecenate. Decide di scrivere una lettera a Ludovico il Moro, presentandosi come abile ingegnere, architetto, scultore, pittore e aggiunge, con acuta intuizione, di essere capace di realizzare le scene da sfondo, ossia le sceneggiature, per le innumerevoli feste nuziali o altre celebrazioni che si svolgono presso a corte. Sarà proprio per questa ragione che Ludovico il Moro lo sceglie e lo prende con sé. A Milano gli viene commissionata per la chiesa di Santa Maria delle Grazie un’opera imponente: “Il Cenacolo”. Di fronte alla chiesa, la casa degli Atellani ospita Leonardo in quel periodo. L’area dove sorge la casa era fortemente coltivata a vigneto. Anche nella casa degli Atellani dimorava una vigna. Ludovico il Moro, per garantire la cittadinanza a Leonardo, gli regala una parte della vigna degli Atellani. Dai documenti di proprietà rintracciati si evince che il vigneto di Leonardo misurava 15 pertiche e ¾. La forma era approssimativamente rettangolare, larghezza di circa 52 metri (100 braccia) e lunghezza di circa 160 metri (294 braccia). L’estensione totale raggiungeva quindi approssimativamente gli 8320 metri quadrati. Nella prassi di allora il vigneto era promiscuo con altre coltivazioni (frutta,ortaggi,etc) e le viti erano allevate o a pergola o su tutori vivi. Leonardo fa uno schizzo della sua vigna. La vicinanza di Leonardo alla vite è dichiarata anche da un disegno che mostra il numero di grappoli lasciati in pianta. Sono due, si tratta di Albana, probabilmente destinata a ricavarne un vino dolce parzialmente appassito in pianta. Il disegno venne fatto al ritorno di un viaggio di Leonardo in Romagna.

 

Tra il 1300 e il 1700 l’Italia del Nord è attraversata da un clima freddissimo, questo provoca danni alla coltivazione dei cerali, del cotone, della vite. Un crollo dell’economia che genera difficoltà nel reperimento del cibo, indebolimento della popolazione e che alla fine sfocia nella peste nera.
Anche il commercio del vino ne risente e sono i vini del Mediterraneo a rifornire i paesi del Nord Europa che non possono più produrre. Per preservare le gemme dal congelamento e quindi evitare la morte della pianta, le vigne vengono interrate. Leonardo è molto colpito dalla vicenda del cambiamento climatico e dalla tecnica di coltivazione adottata. Si apre così l’immagine di Leonardo naturalista. Leonardo osserva e descrive le piante diversamente dal modo fino ad allora conosciuto, ossia aristotelico. In breve, Aristotele, lega l’atteggiamento di un ente naturale ai principi fisici degli elementi che lo compongono. C’è dunque un potenziale intrinseco all’interno della materia che ne condiziona il suo modo di essere e di esistere. Leonardo invece sperimenta l’atteggiamento adattativo della pianta all’ambiente circostante, ne descrive la morfologia e individua nei cambiamenti fenotipici, una motivazione di carattere metabolico legata alla vita e alla capacità di sopravvivenza della pianta. Mostra, per esempio, interesse nella disposizione delle radici e delle branche, ritenendo che anche in questo caso, la pianta rispondesse a precisi bisogni e adattamenti.
E’ il primo ad intuire questa verità. Appassionato e incuriosito dal cambiamento climatico, Leonardo viene a conoscenza dell’esistenza in Francia di monaci che ogni anno appuntano la data di inizio della vendemmia, si reca presso di loro, seziona le piante e scrive che nelle annate fredde, le piante presentano raggi midollari meno ampi che nelle annate calde.

Dopo il bombardamento del 1943, per un dislivello che si era creato, il giardino viene alzato di 1,30 m aggiungendo uno strato di terra. E’ per questo motivo che le piante, franche di piede della vigna di Leonardo, hanno continuato a vivere sepolte.
“Siamo partiti dal sentiero tracciato nelle foto del Beltrami – dice Serena Imazio -, abbiamo scavato in quel punto. Ero assolutamente scettica al pensiero che saremmo arrivati ad avere tra le mani un pezzo di radice della vigna di Leonardo, alla fine, è successo”.
La terra prelevata è stata setacciata per isolare eventuali radici presenti.
Il materiale raccolto è stato disinfettato per l’eventuale presenza di cellule batteriche che avrebbero potuto interferire con le analisi del Dna. La necessità era quella di individuare un’impronta genetica varietale e confrontarla con quelle presenti nelle banche dati del mondo al fine di dare un nome alla varietà di vite coltivata da Leonardo.
Non si voleva infatti solo ricostruire il vigneto rispettando luogo e sesto d’impianto ma la cosa più importante era proprio restituirgli l’anima genetica.
Dopo avere isolato 23 campioni di radici ipoteticamente riconducibili a Vitis vinifera ne sono state selezionate 13. Alcuni di essi incredibilmente davano risposta positiva.

A questo punto, purtroppo la ricerca è stata interrotta per 5-6 anni per mancanza di fondi ed è stato grazie alla famiglia Castellini che ha deciso di finanziare il progetto, se è stato possibile ultimare il lavoro.
La ricerca è ripartita dal Wga  (Whole Genoma Amplification), anche qui, i campioni risultavano positivi al Dna, ma di nuovo si fa strada la paura che si potesse trattare di un alterazione batterica o dovuta ad altri inquinamenti subiti dal germoplasma nel corso dei secoli in cui era rimasto sotto terra.
Quindi, si procede con un’analisi che prende in considerazione solo tre geni che cambiano con la varietà.
Si è trovata rispondenza dei campioni anche in questa fase. A questo punto, c’era la certezza che si trattasse di Dna di Vitis vinifera, la variante poteva essere che il dna si riferisse a vite selvatica o domestica. E’ stato attribuito il nome Leonardo alla varietà per indicarla temporaneamente.
Ora c’era il Dna di una Vitits vinfera ma si pensava che non si sarebbe più risaliti alla varietà in questione. SI è proceduto allora, ricercando con un’analisi storica, le varietà presenti in quell’areale nel Medioevo, chiedendo ai centri di ricerca del mondo se avevano degli erbari con collezioni varietali del periodo medioevale.

Sono state inserite 277 varietà a confronto con Leonardo e Leonardo si collocava all’analisi del Dna vicino al gruppo delle Malvasie.
A questo punto il confronto è sceso all’interno della famiglia delle stesse e si è trovato che si trattava della Malvasia di Candia aromatica. L’ulteriore scoperta è che la Malvasia in questione non veniva da Creta come tutte le malvasie di Candia perché non presentava gli stessi caratteri aromatici. Esiste un paese in Lombardia, che si chiama Candia, ecco svelato il mistero. Si tratta di una Malvasia proveniente da lì.
Si è allora ricercato il materiale per l’impianto e si è scelto di impiantare non barbatelle ma margotte.
Alla fine del progetto, si è trovato un manoscritto in cui Leonardo menziona le varietà Moscato, Malvasia e Passerina e sottolinea che è dalla Malvasia che si ottiene il vino migliore. Oggi su quell’area insiste la vigna di Leonardo. In occasione dell’Expo 2015 migliaia di visitatori sono venuti a conoscerla, molti di essi, chiedevano una foglia da custodire in memoria di Leonardo.
“Il giorno dell’impianto era il giorno dell’eclissi lunare e sembrava che dall’alto lui ci dicesse: andate!”. Conclude  così la Imazio, il racconto di questa storia bellissima.