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L'intervento

Il sottile confine tra informazione e pubblicità: ecco il furbetto del bloggerino

08 Maggio 2017
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di Daniele Cernilli, Doctor Wine

La commistione fra informazione e pubblicità dilaga sempre più. Unico argine: il rispetto del codice deontologico dei giornalisti. Ma chi giornalista non è, eppure fa informazione?

Ogni tanto qualcuno definisce DoctorWine “un blog”. Non è così, noi siamo “tecnicamente” un plurisettimanale online (in pratica un quotidiano, dal momento che postiamo articoli tutti i giorni, ma strutturati come un settimanale, con il mio editoriale il lunedì), una sorte di web magazine, insomma, che è cosa diversa. Per di più siamo anche una testata giornalistica, iscritta al Tribunale di Roma, con il direttore e il capo redattore che sono giornalisti professionisti iscritti all’Albo da più di vent’anni. Un caso quasi unico nel mondo enogastronomico. Lo scrivo perché dopo aver visto una delle ultime puntate di Report su Rai 3, dedicata proprio ai food blogger vorrei marcare alcune differenze. Come giustamente sottolineato in quella trasmissione i giornalisti sono tenuti al rispetto di un codice deontologico stabilito dall’ordine professionale e che noi, come spero tutti, cerchiamo di applicare in modo preciso. Molto è legato ai rapporti con la pubblicità, che in questi casi devono essere trasparenti e chiari. Ci deve essere differenza, insomma, fra i messaggi pubblicitari a pagamento e i contenuti giornalistici, in modo tale che i lettori possano distinguerli con facilità. Questo non significa essere contro la pubblicità, ma solo sostenere che questa debba essere riconoscibile come tale. Per questo, ad esempio, su DoctorWine non troverete mai degli articoli “redazionali”, pagati, cioè, da inserzionisti.

Altro argomento è legato alla partecipazione diretta a spot o a contenuti pubblicitari. Chi è giornalista non può legare la propria immagine professionale ad attività del genere, perché la commistione fra le cose non è, a mio parere giustamente, ammessa. Per tutte queste ragioni DoctorWine non è un blog e il sottoscritto non è un blogger. Perché scrivo tutto questo? Semplicemente perché, e chi ha visto Report lo ha capito benissimo, nel mondo dei blogger esistono alcuni aspetti di commistione fra promozione, pubblicità e contenuti, che definire scivolosi è persino troppo poco. Tanto che molte grandi aziende dell’industria alimentare stanno spostando i loro investimenti pubblicitari proprio su alcuni blog di successo, e non con delle inserzioni classiche, i famosi banner, ma inondando di messaggi promozionali i contenuti dei vari post pubblicati da questo o da quel blogger.

La stragrande maggioranza di loro non sono giornalisti, non devono rispettare delle regole e forse neanche i loro lettori, e si comportano su queste tematiche con una spregiudicatezza totale, condita da un atteggiamento pseudo familiare che consiste nel dare dei consigli amichevoli sull’uso di questo o di quel prodotto, fossero anche i biscotti Mellin per l’alimentazione dei bambini. Nulla contro la Mellin, che credo abbia contribuito persino al mio svezzamento sessant’anni fa. Molto contro il modo con il quale cerca di promuovere i suoi prodotti attraverso una pubblicità, che se non è occulta, è – almeno secondo me – molto discutibile.

Stesso discorso sul ruolo che alcuni blogger iniziano ad avere come testimonial pubblicitari sulla stampa e in televisione. Mi andavano benissimo Manfredi o Mike Buongiorno o, più di recente, Crozza negli spot televisivi. Erano e sono personaggi dello spettacolo, senza alcun rapporto diretto con il settore alimentare, e recitavano/recitano un ruolo in modo evidente. Trovo francamente ai limiti dell’accettabile quando questi furbetti del bloggerino, che vorrebbero essere degli informatori per il pubblico, diventano dei food promoter, dei veri e propri testimonial pubblicitari senza dichiararlo con chiarezza. Non voglio difendere l’integrità della categoria giornalistica, che di problemi ne ha moltissimi, ma solo sottolineare il fatto che se io, ad esempio, mi vendessi un articolo o apparissi in uno spot pubblicitario, sarei espulso dall’albo professionale, mentre se un food blogger facesse la stessa cosa ne avrebbe solo dei vantaggi economici.

E il pubblico dei lettori? E il rispetto per l’attendibilità di ciò che si scrive? Su questo ormai molti fanno finta di niente, come tanti pesci in barile, e come quasi tutti i furbetti del bloggerino. E la commistione fra informazione e pubblicità dilaga sempre più. Contenti voi…

doctorwine.it