Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'intervento

“La mia proposta shock per dire basta ai prezzi scandalosamente bassi del latte”/2

12 Novembre 2015
roberto_rubino_anfosc roberto_rubino_anfosc


(Roberto Rubino)

Pubblichiamo oggi la seconda parte di un articolo scritto da Roberto Rubino, presidente dell'Anfosc, associazione nazionale formaggi sotto il cielo. 

Rubino, interviene dopo le ultime vicende di cronaca che hanno coinvolto tutti i produttori di latte. E lancia la sua proposta contro i prezzi “scandalosamente” bassi versati ai produttori per ogni singolo litri di latte. (In questo articolo trovi la prima parte dell'intervento di Rubino).

La qualità del formaggio dipende, soprattutto, dall’alimentazione dell’animale, segue in posizione abbastanza distanziata la tecnica di produzione, e, infine, la stagionatura.

Il latte
La qualità del latte dipende dall’alimentazione, che incide sui valori nutrizionali e aromatici ed anche sul livello produttivo dell’animale. Oggi sappiamo che le molecole aromatiche e quelle che hanno valore nutrizionale, che ritroviamo o possiamo ritrovare nel latte, dipendono quasi esclusivamente dalle erbe che gli animali mangiano. Ogni erba apporta un contributo diverso di terpeni, polifenoli, flavonoidi, alcoli, chetoni, omega3, omega 6. vitamine antiossidanti. Quindi più erba mangia l’animale e, soprattutto, più erbe sono contenute nella razione, e più il latte presenta una complessità aromatica e nutrizionale importante.
 In Italia e nel mondo, due sono i sistemi di alimentazione che pesano e determinano la qualità: quello stallino e quello al pascolo. Lo stesso animale produce un latte molto diverso a seconda se va in alpeggio, o sui pascoli aziendali, o se è alla stalla e si nutre piuttosto che con l’erba fresca, con la stessa erba ma affienata. Il taglio, il sole, il vento accelerano la volatilità di molte molecole aromatiche e di quelle termosensibili.
Ma, all’interno dei due sistemi, l’alimentazione non è mai uguale.

Sistema stallino
In questo sistema possiamo individuare almeno tre livelli diversi che possono determinare differenze sensibili e percepibili nel latte:

  1. Silo-mais e concentrati, il cui rapporto è intorno a 40/60. E’ chiaro che più aumenta la quota dei concentrati e più si abbassa la qualità del latte. Dai molti studi effettuati è ormai evidente che i concentrati hanno lo stesso effetto dell’acqua nel vino: ne aumentano il volume ma ne diluiscono gli ingredienti. In questo caso la produzione delle vacche oscilla intorno ai 40-50 Kg al giorno.
  2. Fieno e concentrati, il cui rapporto è intorno al 50/50. La sostituzione dell’insilato con il fieno migliora lo stato di salute dell’animale e il contributo alla qualità, però molto dipende dal tipo di fieno. Se ci troviamo di fronte ad un fieno monofita, costituito da una sola erba, il miglioramento c’è comunque ma di lieve portata; se invece ci troviamo di fronte a prati polifiti, allora la differenza può essere sensibile. In questo caso la produzione delle vacche oscilla intorno ai 30 litri al giorno.
  3. Fieni polifiti e alto rapporto foraggi/concentrati. Il caso del Latte Nobile. Nel caso del Latte Nobile il rapporto deve essere 70/30 e i fieni devono contenere almeno 6 essenze diverse. Inoltre la qualità dei fieni deve superare almeno i 60 punti all’analisi sensoriale. In questo caso la produzione giornaliera oscilla sui 20 litri.

Sistema al pascolo
Al pascolo possiamo distinguere tre differenti livelli di qualità in relazione, anche in questo caso, all’uso di concentrati e al tipo di pascolo, se monofita o polifita.

  1. Solo pascolo.Se non vengono utilizzati i concentrati, la qualità dipende esclusivamente dalle erbe. In casi come questo, difficilmente l’allevatore fa pascolare gli animali su un erbaio monofito. In genere le cotiche sono polifite e la qualità è al massimo dell’espressione.
  2. Pascolo polifita e concentrati. In questo caso i concentrati non devono superare il 30% dell’intera razione giornaliera.
  3. Pascolo e concentrati.Quando il pascolo è monofita e i concentrati superano il 30% della razione, la qualità si abbassa ulteriormente.
  4. La tecnica

Alla tecnica si da molta importanza, anzi ormai si valuta un formaggio tenendo solo conto dei parametri influenzati dalla tecnica. Eppure, a parte i difetti, potremmo farne anche a meno perché qualunque casaro è capace di adattare la tecnica alle esigenze dell’utente. Invece vi sono alcuni passaggi che incidono sulla qualità e che sono l’effetto di scelte industriali non modificabili. Ci riferiamo al trattamento termico, all’uso dei fermenti e all’uso dell’acido citrico.
La pastorizzazione, così come la termizzazione, attenuano e banalizzano la componente aromatica e influenzano negativamente anche alcune molecole nutrizionali. In più costringono il casaro a utilizzare i fermenti, o meglio, il fermento.
L’uso di fermenti. Ormai l’uso dei fermenti è diffuso non solo nei formaggi a latte pastorizzato, ma anche in quelli a latte crudo. Però è sbagliato usare la parola al plurale perché di fermenti se ne aggiungono pochi: uno, raramente più di uno. E pensare che ogni caseificio mantiene all’interno della struttura una biodiversità che può sfiorare anche i 150 ceppi diversi di batteri. La scomparsa della microflora lattica, per molti medici e microbiologi è vista come un danno per l’ambiente e per la salute umana, perché vengono in questo modo indebolite le difese immunitarie dell’organismo. Quindi l’uso dei fermenti va penalizzato.
L’uso di acido citrico. Oggi la gran parte delle paste filate sono prodotte con aggiunta di acidificanti, in primis l’acido citrico. Storicamente la pasta filata veniva e viene fatta acidificare, per poter essere filata, naturalmente -è il caso del Fior di Latte di Agerola- oppure con il siero-innesto o con il latto-innesto. In questo caso la pasta fila ha un pH intorno a 5, ha un sapore acidulo ed è ricca di fermenti lattici. Se si usa l’acido citrico, l’acidificazione è immediata, avviene a un pH introno a 5,6. Quindi la mozzarella è dolce, la flora lattica praticamente assente perché non c’è stato il tempo necessario perché si sviluppasse. Ma, soprattutto, a quel pH la pasta non ha difese acide e, per questo, è più sensibile allo Pseudomonas: per intenderci, a diventare blu.

La stagionatura
Oggi il ruolo della stagionatura risente degli effetti della cultura del modello estensivo. Non avendo dato importanza all’alimentazione come fattore determinante la qualità, l’invecchiamento dei formaggi è diventato una variabile indipendente, basta curare bene il formaggio e l’effetto è garantito. E quale sarebbe questo effetto? Su questo punto ognuno dice la propria, non c’è una condivisione su cause/effetto, e non c’è nemmeno condivisione della terminologia da utilizzare per descriverne i cambiamenti, tanto che molti usano aggettivi che dicono poco su quel formaggio.

Nei vini la regola condivisa è che s’invecchiano solo vini prodotti da uve di grande livello. Solo vini ben strutturati e con un corredo terpenico, fenolico e di altre componenti aromatiche può sopportare grandi invecchiamenti migliorando e non peggiorando.
Nel mondo del latte la stagionatura prescinde dalla qualità del latte. Si invecchiano persino formaggi prodotti con il latte di Alta Qualità (per intenderci, quello dei sistemi intensivi), che vengono mantenuti nelle celle frigorifere anche diversi anni(perché la vendita langue) e se ne vantano le caratteristiche organolettiche, caratteristiche però non condivise o non comprese da chi dovrebbe acquistarlo.
C’è comunque chi, partendo da formaggi ben selezionati, si dedica con particolare cura all’affinamento o esaltando le potenzialità di quel formaggio o arrivando addirittura a stravolgerne le caratteristiche fisico-chimiche pervenendo a un formaggio diverso nell’aspetto e nel sapore.
Al momento quindi in Italia la stagionatura è un valore non generalizzabile ma che va tenuto in considerazione di volta in volta, in relazione alla personalità dell’affinatore.
Per questo viene tenuto fuori dalle classi ma rimane all’interno del range di prezzo della classe di appartenenza di quel formaggio. 

Tecnica e Fermenti o Acido citrico
Alla Classe del latte si possono aggiungere dei + in relazione alla tecnica di produzione.
Se il formaggio è a latte crudo, per esempio di classe A1, si indicherebbe A1+, se il latte è pastorizzato si aggiunge 0(zero);  se fosse con fermenti avrebbe: 0, se senza fermenti: +. Quindi un formaggio prodotto con animali che hanno mangiato solo erba del pascolo, a latte crudo e senza fermenti avrebbe la classe A1++.
Un formaggio di questo tipo avrebbe il massimo del riconoscimento e può sperare in un prezzo pari al suo valore, perché il consumatore sa che si trova di fronte il testimonial di un modello e di pratiche che meritano rispetto e valore.

Chi decide e chi controlla
Se dovesse funzionare un modello del genere, i primi a beneficiarne sarebbero i produttori di latte, oltre che i caseifici, perché si amplierebbe la forbice del prezzo, si creerebbero nuove fasce di mercato e i prezzi sarebbero più vicini al valore del latte. Naturalmente ne beneficeranno anche i consumatori, perché per la prima volta avrebbero contezza del valore del prodotto e del rapporto qualità/prezzo.
Però entrambi questi soggetti non possono attivare il modello, perché non dispongono degli strumenti giusti. Chi può far scattare immediatamente il meccanismo sono i negozi, meglio le gastronomie e alcuni distributori, soprattutto quelli plurimarche, con un ventaglio importante di varietà casearie.
Tutti o semplicemente alcuni possono autonomamente o insieme decidere di inserire ciascun formaggio all’interno di una classe di qualità. I parametri da utilizzare sono semplici da acquisire e da raccontare ai consumatori. Ormai c’è una vasta bibliografia sul ruolo delle erbe nella formazione degli aromi e del valore nutrizionale. Altra se ne può mettere a disposizione ad hoc.
Chi controlla e soprattutto è necessario controllare? La legge italiana e comunitaria sul commercio dice che sull’etichetta non si deve dichiarare il falso. Ed è ammessa l’autocertificazione. E’ interesse allora del negoziante, a prescindere dalla legge, di acquisire le informazioni giuste per poter sia classificare il formaggio ma anche per avere contezza della qualità e del prezzo che deve pagare.
Quindi, almeno nella fase di avvio, dovrebbe essere lo stesso negoziante o rivenditore a garantire la corrispondenza fra la classe dichiarata e la tecnica di produzione. Sapendo comunque che se è facile per loro controllare, lo sarà altrettanto per i NAS o per i servizi di controllo pubblici.
 
E le Dop?
In Italia le Dop hanno cercato sempre di stoppare qualsiasi tentativo di differenziazione della qualità. Tutto deve essere uguale nell’ambito del territorio e della produzione. Questa regola potrebbe andare bene per piccole Dop, ma se pensiamo che solo due, Grana Padano e Parmigiano Reggiano, arrivano a produrre quasi il 40% dell’offerta casearia nazionale, allora si capisce bene come questo meccanismo sia stato uno dei problemi del settore e non un punto di forza.
Certo l’ideale sarebbe che le Dop facessero proprio questo modello, ma al momento la debolezza è tale che qualunque seppur piccolo cambiamento spaventa al di là della sua portata. Verrà il momento che i produttori, almeno quelli più virtuosi, si renderanno conto che o si smarcano da questo modello oppure sono condannati.
Perché la qualità dei formaggi non è uguale nell’ambito della Dop. Penso alla Mozzarella di Bufala Campana, a quei formaggi che si producono sia in alpeggio che in stalla, al Taleggio, ai caprini, ecc.
Al momento niente impedisce che il negoziante possa vendere un formaggio in base ad una sua classificazione, visto che la classe del formaggio non viene riportata in etichetta.
 
Effetti prevedibili e attesi
Attualmente, il consumatore è disorientato di fronte ai messaggi contorti, fasulli, sfacciatamente agiografici che arrivano dal mondo lattiero-caseario. Se tutto è uguale, se la qualità dei formaggi di una Dop è sempre la stessa, allora perché dovrebbe pagare un prezzo più alto? Sceglie sempre quello più basso. Se facciamo passare per latte di Alta Qualità, così definito in base alla legge 169/89, un latte industriale, se a cadenza semestrale blocchiamo le frontiere con i Tir per impedire che arrivino latte e cagliate dall’estero con la scusa che quel latte è più scadente, se insomma non facciamo niente per mettere in condizione il consumatore di accrescere il proprio vocabolario dei termini giusti per definire e cogliere la qualità, non dobbiamo poi lamentarci che i prezzi siano sempre in caduta.
Il metodo della Classi di Qualità permette di eliminare contemporaneamente le cause che concorrono a far abbassare i prezzi: le parole chiavi della qualità e la disinformazione.
Nel momento in cui i rivenditori, dai piccoli ai più grandi, organizzeranno il loro banco frigo o il loro catalogo non per categoria di formaggi: freschi, stagionati, a pasta filata, pressati, o addirittura per marchi Dop, ma per classi di qualità, il primo effetto evidente sarà quello di spingere il consumatore a chiedersi cosa mai possano essere quelle classi, cosa significheranno. Succederà quello che è successo a ciascuno di noi quando sono state attivate le classi di qualità per gli elettrodomestici. Ci siamo documentati e subito abbiamo capito che il consumo di acqua, di elettricità poteva cambiare in funzione del tipo di lavatrice, in funzione quindi della qualità. La percezione della qualità e dei fattori che la determinano fa scattare subito nel consumatore un confronto con il prezzo. Se la qualità è alta, ci si aspetta che il prezzo sia altrettanto alto, altrimenti insorgerebbe quantomeno un sospetto di prodotto in scadenza. Se la classe è bassa, ci si aspetta un prezzo giusto.
Oggi il consumatore vuole disporre di quelle parole chiavi che gli possono permettere di cogliere la qualità, il suo livello, perché vuole essere libero di scegliere. Le classi di qualità non solo forniscono queste chiavi, perché sono state formulate in base a risultati scientifici seri, ma danno il modo anche di percepire la distanza fra le classi, vero grande problema del momento, come abbiamo visto a proposito del Ragusano.
Nel momento in cui ha consapevolezza di questa distanza, non avrà difficoltà ad accettarne la differenza di prezzo. Differenza che, a qual, punto, non sarà di pochi euro, ma proporzionale alla distanza di qualità.
Le piccole produzioni, i grandi formaggi si potranno salvare solo se si apriranno questi nuovi orizzonti. E a beneficiarne saranno anche gli altri formaggi, la massa, perché il mercato sarà meno asfittico, più allargato e probabilmente potranno salire anche i consumi.(Oggi molte persone non bevono latte e non mangiano formaggi perché hanno problemi d’intolleranza. Ma l’intolleranza probabilmente è dovuta allo squilibrio di questi formaggi. Invece i formaggi prodotti da animali meno stressati sono in equilibrio. Ma questa è una storia che riprenderemo in altra sede).
Ecco perché il modello delle classi di qualità è l’unica soluzione al momento disponibile per rilanciare il settore.

C.d.G.