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Lo studio

Marketing, ma non solo, imparare (bene) l’inglese per avere successo nel mondo enologico

25 Settembre 2015
Angelo_Baccarella Angelo_Baccarella

di Clara Minissale

The pen is on the table, la frase tormentone di quanti vogliono imparare l’inglese, con lui diventa the vine is planted in the soil. Perché se vuoi imparare la lingua d’oltremanica e applicarla al vino, è da lì devi cominciare, dalla pianta e dal terreno, partendo dalla descrizione di una vite per arrivare alla vinificazione.

Angelo Baccarella, lettore di madrelingua al Centro Linguistico dell’Università di Palermo e docente al Master in Manager delle Aziende del settore Vitivinicolo, è innanzitutto un amante del vino incontrato quasi per caso un giorno di una dozzina di anni fa e da allora mai più abbandonato. Se a questo poi si aggiunge la sua voglia di esplorare ambiti sempre nuovi e la capacità, dettata dal suo essere perfettamente bilingue, di giocare con il linguaggio autentico, il risultato è assicurato. 

Nel suo corso si spazia dai termini descrittivi agli elementi di marketing ma “in realtà – spiega – quando si parla del vino, tutto ruota attorno alla cultura e al modo di approcciarsi al mondo commerciale internazionale”. Innanzitutto l’inglese è una lingua franca, non appartiene più solo agli inglesi e dunque è importante avere elementi della cultura di riferimento per essere certi che la comunicazione vada a buon fine.

Insomma non basta saper parlare la lingua, ma bisogna assicurarsi che il nostro interlocutore capisca a cosa ci stiamo riferendo. E ci aiuta con degli esempi il professore Baccarella. “Gli inglesi nella descrizione olfattiva di un vino – dice – possono mettere molta enfasi sui frutti di bosco che loro differenziano con una certa precisione e che per noi, invece, sono genericamente frutti di bosco. Questo può valere per altri frutti o per le spezie. Quindi è bene cercare di capire cultura e alimentazione del paese che ci interessa ed usare descrittori conosciuti a livello internazionale per essere certi di farsi comprendere”.

Chiacchierando con lui di vino e di inglese davanti ad un ovvio tè delle cinque, fai un viaggio a ritroso nel tempo, fino a quel 1066 in cui l’Inghilterra fu invasa e conquistata dai Normanni che imposero sistema feudale e lingua francese. Quegli stessi Normanni responsabili del fatto che in Inghilterra la lingua ufficiale del commercio fosse il francese e che molti termini legati al mondo del vino, dal frutto alla vinificazione, siano parole francesi pronunziate all’inglese. “Perché bisogna essere chiari – dice Baccarella mentre i suoi occhi si illuminano – i francesi facevano il vino ma erano gli inglesi a commerciarlo” e questo vale anche per dei fiori all’occhiello nazionali come il Bordeaux.

Terroir, bouquet, vineyard, véraison, sono tutti termini entrati nella cultura inglese a partire da quella invasione e oggi ne permeano la lingua.  

Ma, secondo il professore, sono altre oggi le parole chiave del vino e, forse non a caso, hanno un significato davvero internazionale. “La prima è culture, intesa come convivialità, mezzo per la socializzazione. Bere vino è bere insieme ad altri e ciò vuol dire avere uno scambio, un dialogo. E, last but not least, davanti ad un bicchiere di vino non c’è cultura o casta che tenga. Siamo tutti uguali. La seconda è wine perché rappresenta la storia del mondo occidentale e, nonostante ci siano prove di coltivazione della vite già da parte degli egiziani, in realtà dove c’è vite c’è il mondo occidentale. La terza parola del vino, in realtà sono due e vanno necessariamente insieme, international economy, perché gli inglesi sono stati i primi nel mondo a capire l’importanza di questo prodotto e, con operazioni primitive di marketing, ad esportarlo e commercializzarlo”.

E poi alcuni consigli a quanti, produttori o semplici appassionati, vogliono avvicinarsi all’inglese del vino e desiderano che questo diventi un mezzo efficace di comunicazione. “Attenzione alle traduzioni fai da te – dice Baccarella -. Per avere credibilità anche al di fuori dai propri confini, meglio affidarsi a dei professionisti perché basta navigare un po’ in rete per rendersi conto di traduzioni approssimative che con l’inglese hanno poco a che fare. Poi, semplificare la comunicazione: l’italiano è abbastanza barocco nell’esprimersi mentre gli inglesi sono più precisi e sintetici. Di questo è bene tenere conto anche quando si racconta un vino. Meglio usare un linguaggio semplice e diretto. E se parliamo o scriviamo in italiano, che sia in italiano: basta con tutti questi termini stranieri inframmezzati nel discorso che ormai sono davvero troppo abusati”.