Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Diario goloso

Viaggio nella Ahr. Il vino sorprendente di Christoph Sebastian

30 Novembre 2011
tagliata tagliata

di Armando Garofano

“Ma perché diavolo i Romani sono venuti sin quassù a prendere a legnate questi Marcomanni?” mi chiedo dubbioso, scalando dalla quinta alla terza, mentre il navigatore conferma impavido che siamo proprio arrivati.

Siamo nella valle della Ahr, teatro di una delle campagne più dure dell’esercito romano contro le tribù germaniche nel I secolo a.C.

E mi sento molto Massimo Decio Meridio (quello del Gladiatore), mentre scendo per una stradina che si srotola ripida nel bosco. Le querce fitte e scure cominciano a rosseggiare, ma c’è ancora tanto verde, anche da queste parti, l’autunno è stato molto mite.
A fondo valle un fiumiciattolo gelido e limpido scorre placido. Qualche montone nero sulla riva pascola tranquillo contemplando perplesso alcune oche e il sottoscritto, che gli intima con fare marziale… meo nutui inferos excitati…(me la sono tradotta con Google e dovrebbe corrispondere più meno alla fatidica: “ Al mio segnale scatenate l’inferno” (cit. Il Gladiatore).

La Ahr è un affluente del Reno, che solo il nome pare un grido di battaglia. Fortunatamente i Marcomanni dopo le sonore bastonate ricevute dai nostri valorosi antenati si sono alquanto calmati e in questa valle suggestiva, ancora popolata da cervi e cinghiali, hanno creato un piccolo capolavoro: sui trenta chilometri del crinale che guarda a meridione hanno sviluppato la regione vinicola più settentrionale d’Europa dedicata ai vini rossi. I vigneti sono attraversati da un sentiero ciclabile che segue la Arh sino a Remagen, alla confluenza col Reno. Il posto è semplicemente incantevole. Una serie di villaggi minuscoli e intatti scandisce l’avvicendarsi dei cru più pregiati sino alla cittadina di Ahrweiler, costruita sul sito di un’imponente villa rustica romana, e che ancor oggi mostra integra la cinta di mura medievali. Poi la valle si allarga e i vigneti assumono profili meno scoscesi.

Durante la giornata, i suoli poveri, composti da scisti, loess argilloso e pietra vulcanica assorbono il calore che poi rilasciano gradualmente durante la notte.
Non c’è solo Spätburgunder (lo so, sembra il nome di una divisione corazzata ma è solo il nome locale del pinot nero), ma anche Portugieser, Frühburgunder (pinot nero precoce) e Dornfelder (il meno nobile dei quattro). Facile andare in Borgogna e farsi propinare qualche gran cru dal prezzo stellare, ma che poi sa solo di lacrime e sconforto (per i soldi spesi). Provate a venire sulla Ahr, dove probabilmente sono l’unico straniero capitato da queste parti dai tempi di Massimo Decio: qui è tutta un’altra storia.

Un angolo di mondo dimenticato dalle mode, dagli enoturisti frivoli e sfuggito alle standardizzazioni californiane. Qui il terroir signoreggia e il pinot nero, scontroso e austero, resiste ad ogni tentativo di ammansirlo. Dopo una bella passeggiatina di una decina di chilometri tra i vigneti sono approdato a Rech, e quasi per caso (volevo andare da uno più famoso) alla modesta cantina di Jakob Sebastian. La costruzione è semplice, bassa, giallino timido, ma si trova in posizione strategica: praticamente fa la guardia al ponte che dà accesso al villaggio. Il fondatore, nonno Jakob, al momento corre già nei camp Elisi col sole in faccia (cit. il Gladiatore). A mandare avanti la cantina adesso c’è Christoph, che in qualità di Kellermeister gestisce vigna e vinificazione.

Cristophè un tipo cordiale e sarebbe anche piacevole scambiarci quattro chiacchiere se solo non parlasse come un ventriloquo. Riesco comunque a estorcere al suo tedesco ostico le seguenti coordinate: solo fermentazioni naturali non controllate, solo botte grande, nessuna filtrazione, niente lieviti selezionati. Unica concessione sibarita: la chaptalisation negli anni più freddi per i vini di qualità inferiore. Sono cascato bene a quanto pare. Christoph Sebastian, non è famoso, non fa parte dei produttori d’elite della VDP (http://www.vdp.de) non ha grandi cru tra i suoi vigneti, ma è un artigiano onesto che fa bene il suo mestiere.

Della sua produzione Abbiamo provato il 2009 Heimersheimer Berg Spätburgunder Auslese trocken, ma prima di descriverlo tentiamo di decifrarne il nome che pare scritto col codice Enigma usato sommergibili tedeschi. Dunque il 2009 è l’anno, non ci piove, l’Heimersheimer Berg è la vigna, lo Spätburgunder il vitigno, Auslese indica una raccolta selezionata e Trocken (secco) il grado zuccherino. I tedeschi son tipi precisi, non c’è niente da fare. Al naso è intenso, complesso e severo. Appena aperto ti accoglie con aromi gentili di rosa appassita e piccoli frutti rossi che si alternano alle note di sottobosco, ma poi comincia a menare fendenti ferrosi e minerali, che diventano via via prevalenti: si direbbe che ci sia caduta dentro il gladio un legionario. In bocca ha intensità ed equilibrio. L’amarena matura integra bene tannini garbati e acidità imponente. La straordinaria sapidità minerale si affievolisce in un finale morbido che richiama i lieviti. Un vino rigoroso, complesso ed equilibrato, perfetto per la selvaggina. A soli 12,50 euro ha un rapporto qualità prezzo da arco di trionfo. Sarebbe piaciuto molto a Massimo Decio Meridio.
 
Si può acquistare sul sito: http://www.jakob-sebastian.de