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Il dibattito

Tutela Made in Italy, Marini, presidente Coldiretti, punta il dito contro le lobby dell’industria agroalimentare

22 Settembre 2013
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Da sinistra Michele Fino, Sergio Marini, Riccardo Deserti,
Mara Monti, Roberto Burdese, Lucia Decastelli

“Il Made in Italy non lo si è mai difeso veramente. Se ne parla tantissimo ma di fatto la tutela risulta marginale. Finché ci sono forze contrarie più forti e imponenti di quelle che cercano di difenderlo, la battaglia è persa”.

Punta il dito contro le lobby degli industriali alimentari Sergio Marini, il presidente nazionale di Coldiretti intervenuto al dibattito Non ci par vero: le contraffazioni in ambito alimentare tenutosi in occasione del Cheese a Bra. Le ha chiamate  in causa, come le prime responsabili di un sistema che sta “distruggendo” il valore della produzione italiana, che fa pressioni su Bruxelles e sugli organi di controllo. Toni duri quelli usati da Marini. Una denuncia senza mezzi termini. 

“C'è un pezzo d'Italia fatta da gente onesta che cerca di arricchire realmente il Made in Italy e un pezzo d'Italia numericamente importante che fa l'opposto, truffaldini che sfruttano i media, che solo ufficialmente si proclamano tutori del Made in Italy, e che operano contro la trasparenza vendendo prodotti che di Italia dentro non hanno nulla. Influenzano chi sta in parlamento affinché le cose rimangano fumose. Coloro che si mettono di traverso al fine di rendere inapplicabili leggi, con cavilli o circolari,  volute per tutelare  la qualità e l'origine territoriale delle produzioni alimentari “. 

Quella del “falso”, insomma, sembra essere una problematica tutta italiana. Dimostrato dai tempi troppo lunghi o dai percorsi troppo tortuosi che si devono affrontare per avere, per esempio, garantita la tracciabilità in etichetta delle materie prime, per prodotti come la pasta o come la carni. Palesato dalle battaglie condotte da soggetti di filiera o della politica, dai bracci di ferro, contro leggi come la Salva Olio voluta per tutelare il consumatore. O peggio, dalle richieste esplicite di “non intervento” a firma di produttori o di Ad di grandi aziende inviate ai vertici degli enti preposti al controllo. “Siamo l'Italia delle lobby e delle corporazioni – continua Mari-  Dobbiamo muoverci in massa. C'è in gioco il  futuro del Paese, dobbiamo batterci per un modello italiano virtuoso e che dica la verità al consumatore, altrimenti si continuerà a fare gli interessi dei produttori che operano nella nebbia. Il Made in Italy non si fa con il solo processo di trasformazione. Si rischia cosi di identificare il Made in Italy con la sola produzione tecnica che potrà essere fatta in qualsiasi parte del mondo. Quanto rimarrà dell'Italia nei prodotti? Il male a questo paese lo stanno facendo gli italiani. Comprano industrie e delocalizzano nel mondo”.

Per Marini la strada da battere per tutelare il patrimonio italiano, con le sue mille sfaccettature culturali, sociali, paesaggistiche rimane l'esercizio della volontà popolare a cui l'Europa però, come dichiara, a chiuso le porte. “Non c'è democrazia. La volontà popolare non è trasferita nei principi dei regolamenti”. Ma non può esserci lotta se prima non c'è una presa di coscienza da parte del consumatore. Informazione e comunicazione sono stati altri punti importanti toccati nel corso del dibattito a cui hanno partecipato: Roberto Burdese, presidente Slow Food Italia ; Lucia Decastelli, responsabile Controllo Alimenti e Igiene delle Produzioni dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta; Riccardo Deserti, direttore del Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano; Michele Fino, docente di Diritto Romano e Diritti dell’Antichità, Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo; Giuseppe Vadalà, direttore della Divisione per la Sicurezza Agroambientale e Agroalimentare del Corpo Forestale dello Stato e Sergio Veroli, vice Presidente Federconsumatori.

In merito alla contraffazione non è passata la percezione ancora del danno arrecato, il consumatore non sa che si tratta di un danno alle proprie tasche”, interviene Deserti, che ha mostrato ai presenti una lunga casistica di prodotti contraffatti intercettati nel mondo che sfruttano la notorietà e il prestigio del Parmigiano Reggiano. Per Deserti si deve prendere una maggiore coscienza della natura  commerciale dei prodotti agroalimentari Made in Italy. “Il valore intrinseco -ha detto-  di una nota marca di occhiale o di un prodotto farmaceutico è completamente diverso, vengono ricaricati costi maggiori legati a investimenti in sviluppo e marketing. Al contrario il prezzo dei prodotti alimentari è dato principalmente dai costi di produzione. I nostri prodotti sono estremamente democratici”. 

Una coscienza diffusa del valore di tale produzione non è un traguardo facile da raggiungere come sottolineato da Veroli. “I cittadini considerano la contraffazione un reato minore, la gente compra prodotti contraffatti, non si cura di  chi c'è dietro. Viviamo una contrazione dei redditi spaventosa, ci sono costi fissi che il cittadino deve pagare, anaelastici, il costo del cibo rischia di essere invece l'unico elastico, l'unica cosa che si va a comprimere, a danno della sensibilità sul cibo. La stragrande maggioranza è costretta a onorare quello che trova più a buon mercato”.

“Il futuro del cibo di qualità si difende se ci sono consumatori educati e produttori alleati tra di loro, consapevoli che stanno facendo la stessa battaglia. Ricordiamo che se perde un solo produttore onesto perdiamo tutti, siamo tutti sconfitti. – dice Burdese-. Siamo nel paese che ha il miglior sistema di controlli nel mondo ma non significa che siamo al sicuro. Bisogna puntare sull'informazione diretta. Educare il consumatore a non fidarsi delle marche, deve imparare a conoscere il cibo. L'unica garanzia che abbiamo siamo noi stessi, dobbiamo informarci, allenare i nostri sensi, molte volte i cibi contraffatti sono prodotti che non hanno le caratteristiche qualitative degli originali, impariamo a riconoscerli”. 

Passi in avanti comunque se ne sono fatti e se ne stanno facendo. “Negli anni '80 parlare di origine era tabù, se ne parlava solo per il vino – interviene Fino – È poi sorta la classificazione Dop, Igp e Stg e si è avuta un 'accelerazione in materia di tutela, un percorso più evoluto dopo il caso Bse.  Proprio per quanto riguarda la tracciabilità delle carni si sta procedendo per ottenere l'indicazione dell'origine in etichetta per tutti i tipi. E con il regolamento 1169 approvato si dovrà indicare, in tutti gli alimenti, l'origine del l'ingrediente principale presente al 50 per cento. Adesso il regolamento è soggetto a proposte di formulazione da parte della commissione europea. Sulla tutela delle produzioni giocherà sempre il peso delle lobby a Bruxelles. Per questo non bisogna considerare questi gruppi di pressioni nell'accezione negativa. Si dovranno organizzare lobby buone”.

C.d.G.