Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Il progetto

Nasce il primo vino d’alta quota dei Nebrodi ed è uno spumante

11 Dicembre 2012
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E’ nato il “Vino dei Nebrodi”. Anche lui, come evoca l’etimologia del nome, sembra un piccolo cerbiatto. Da come scalpita nei primi fermentini.

E il nome è già una premessa, e anche una promessa, di un seducente brand. Indica il luogo di nascita ma anche la sua residenza, le origini delle sue radici  e tutto quanto contiene il significato di un particolarissimo terroir, quello del Parco dei Nebrodi. Lo prende, il nome,  da una  piccola catena montuosa del  nordest della Sicilia fra le Madonie e i Peloritani con i quali costituisce l’Appennino siculo. Particolarissimo terroir perché i suoi vigneti stabiliscono il loro domicilio a 1250 metri sul livello del mare. E il mare che lo alita con suo Maestrale, e lo nutre, è il Tirreno che gli soffia dal nord a cui è  esposto, portandogli il dono delle sue miti brezze. Tutte caratteristiche ideali per un bianco dal destino già assegnato: diventerà uno spumante. Ed è “il figlio di un grande  amore”: così va definita l’idea o l’ embrione che lo ha generato. Un mix di caldo romanticismo e di fredda ricerca scientifica. Cha ha un nome e un cognome: Antonio Sparacio.

Sparacio è  un ricercatore dell’Istituto Regionale Vini e Olii di Sicilia. E la sua idea di sperimentare un vitigno, e un  vigneto, in alta quota gli è nata nel 2009 e subito messa in atto in quell’ambito di  un progetto di ricerca che rientra negli studi dei fenomeni del cambiamento climatico. “E  la Sicilia non sarà esclusa da questi interessi  ambientali – spiega il dottor Sparacio – e quindi quest’isola dovrà pensare sempre più ad un viticoltura di montagna, ma come la vive uno scalatore che passo dopo passo e lentamente guadagna cime e altitudini sempre più alte. E non per mera gloria ma per cercare sempre nuove caratteristiche.

Così  qualche anno fa, visitando Ucria nel cuore del Parco dei Nebrodi a quota 1250  abbiamo pensato che questo fosse un territorio idealissimo per la sperimentazione che rientrasse nell’ambito di questo segmento di ricerca. E che i vitigni a bacca bianca come  il Catarratto lucido e quello extra lucido fossero, assieme allo Chardonnay, i più aderenti all’idea di sperimentazione per basi-spumante. E infatti già alla seconda vendemmia abbiamo ritenuto il Catarratto idoneo ai primi test. E alla fine della prima fermentazione abbiamo scoperto l’attendibilità delle nostre intuizioni. Già dal prossimo mese gennaio, all’Irvos di Marsala, potremo stilare i primi risultati sulle caratteristiche  dei mosti e di come il territorio e l’altitudine li abbiano influenzati. Esperimenti le cui prime gratificazioni sono già incassate visti i parametri significativi che emergono dalle analisi. Con livelli di acidità e grado zuccherino, fondamentali per vinificare col metodo classico uno spumante, mai visti e caratteristiche aromatiche così marcate che anticipano il carattere di un vino dall’ampia complessità”.

Questo lavoro di sperimentazione, le cui indicazioni si arricchiranno ulteriormente nel 2013 col secondo test sullo Chardonnay è funzionale con le politiche di collaborazione e di sostegno tra l’Irvos e le aziende siciliane. E si è reso possibile anche grazie alla sensibilità di un imprenditore del posto, Antonio Borrello e titolare di un’azienda  “Zoo-agricola”  che ha messo a disposizione un paio dei suoi cento ettari di proprietà che adibisce  a pascolo,  frutteto e uliveto. Produce in biologico decine di prodotti bioalimentari oltre ai derivati delle lavorazione della carni dei suini dei Nebrodi. Per lui, comunque,  e l’idea di arricchire il suo paniere con uno  “Spumante dei Nebrodi” gli ha già acceso la fantasia al pari del giustificatissimo  orgoglio.

“Questi risultati – ci tiene a concludere Antonio Sparacio –  saranno tempestivamente notificati alle aziende siciliane che producono spumante e ci attendiamo da loro  un ritorno scientifico riscuotibile dalle loro interpretazioni, dal confronto delle nostre esperienze con le loro, e dal come tutto questo scambio culturale, sull’esempio del Grillo di Mozia e  lo Zibibbo di Linosa, potrà interagire con il futuro della ricerca enologica siciliana”.

Stefano Gurrera