Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Il progetto

Tierra, un business consapevole. Giuseppe Lavazza: “Tocca a noi essere pionieri di un nuovo modo di operare”

26 Ottobre 2012
lavazza-hp lavazza-hp

Dietro ad una tazzina di caffè si racchiude il futuro, quello che vedrà un nuovo riassetto del mondo della produzione più etico e sostenibile.

Non è retorica, ma una strada ben precisa che già vede i primi risultati. Come quelli che si stanno raccogliendo in Tanzania , nei campi di caffè curati da 750 piccoli produttori, dove dietro ad ogni piantina c’è la rinascita di una piccola comunità e la salvaguardia di un territorio. Questa strada si chiama Tierra e ad averla tracciata dieci anni fa in America Latina è stata Lavazza, l’azienda piemontese leader nel mercato del caffè. Sugli scaffali approda come una selezione di caffè sostenibile 100% arabica ma in origine è un lungo percorso che coinvolge tutta la filiera e che si ispira al criterio di certificazione promosso da Reinforest Alliance, l’organizzazione non governativa di respiro internazionale che promuove un modello di business basato sulla salvaguardia delle biodiversità aiutando gli agricoltori di questi Paesi ad acquisire professionalità e competitività nel mercato. Oggi, per esempio, l’organizzazione segue il 3% delle terre che producono caffè nel mondo, proteggendo in questo modo più di un milione di ettari del Pianeta.
Nelle sei tappe del progetto Tierra, partito dall’America Latina in Honduras, Colombia e Perù e poi espanso in Brasile, India e adesso in Tanzania, il modus operandi è stato duplice imprenditoriale e sociale. Proprio al luglio del 2012 è stata inaugurata una scuola materna nella grazie Tierra e alla collaborazione con l’associazione Kirua Children Lavazza ha contribuito alla costruzione di una scuola materna, la MaseRing Nursery School a Kirua, diretta da padre Peter, nel villaggio di Maande (regione di Kirua, a 1.200 metri di quota sul Monte Kilimangiaro). Al Lingotto di Torino è stato presentato il documentario che ha raccontato la realizzazione di questo progetto.

“L’impegno nel sociale non è una scoperta degli ultimi anni – ha dichiarato Giuseppe Lavazza in conferenza –. Proseguiamo un impegno messo in pratica sin dall’anno di fondazione dell’azienda, nel 1895, e professati da Luigi Lavazza, un contadino che è dovuto diventare imprenditore ma sempre rimasto profondamente legato alla terra. Tocca a noi essere pionieri di un nuovo modo di operare. Da un lato le attività di formazione che facciamo presso quelle comunità ci consentono di ottenere alta qualità e un miglioramento della produttività del suolo e significa entrare in contatto con le vere esigenze della popolazione. Diamo strumenti di conoscenza ma non in modo cattedratico. Ed è fondamentale la certificazione della produzione, quella ad opera di Reinforest Alliance, perché attraverso questa diamo maggiore valore a quello che facciamo”. Sono infatti 60 i criteri che le aziende devono avere per ottenere la certificazione dell’Organizzazione, tra questi la conservazione della biodiversità e dell’habitat, la formazione al lavoro, il pagamento dei salari secondo i livelli stabiliti nei Paesi, il divieto del lavoro minorile.

“E’ l’afflato etico morale che ci deve guidare – ha concluso il vicepresidente -. Una filiera efficiente deve essere prima di tutto soddisfatta, garantire la dignità lavorativa a tuttii livelli, e solo così possiamo contrastare al depauperamento delle campagne”.
“Quello che Lavazza ha fatto in Africa e negli altri Paesi rappresenta una grande opportunità al cambiamento – ha detto Petrini nel suo intervento – In questo momento di crisi si devono sviluppare nuovi paradigmi. Dobbiamo essere coscienti che la strada è lunga e difficile. Pensiamo che proprio il caffè e il cacao sono nati perché l’Occidente ne ha fatto delle commodity da trasformare per farci soldi, parliamo di una cosa iniziata nel ‘700. Per tre secoli abbiamo rapinato queste economie a nostro benefici. Ci sono dei dati relativi al 2005 che dicevano quanto di un euro speso per una tazzina di caffè, solo sei centesimi venivano corrisposti ai contadini. Ora l’Africa è soggetta ad una nuova forma di colonialismo, si chiama land grabbing, cinesi, mediorientali, multinazionali comprano terreni per produrre cibo per i propri Paesi, complici stati canaglia che stanno comprando e affittando le terre per 100 anni. Ai contadini non rimane nulla. Peggio della colonizzazione che si è fatta un tempo con le armi”.

Per Petrini l’esempio di Lavazza o di iniziative come Orti in Africa, esposto a Terra Madre, pssono diventare una controtendenza, volano per una nuova coesione sociale che può portare beneficio diffuso:  “Non dobbiamo realizzare queste opere come persone amorevoli e per bene, si, lo siamo, ma dobbiamo restituire prima di tutto le terre che abbiamo a loro sottratto. Siamo noi che portiamo sulle spalle la responsabilità del latrocinio commesso. Senza la terra non hanno altra soluzione che il fuggire. Noi italiani abbiamo perso la memoria, anche noi siamo stati popolo di emigrazione e siamo andati incontro a tragedie simili a quelle che stanno vivendo loro con i barconi – e dicendo questo Petrini ha intonato in conferenza un canto sul viaggio di emigrazione che affrontarono i contadini del cuneese verso il nuovo continente -. Trattiamo gli africani invece oggi come bestie invece che nascano mille progetti Tierra. E uno dei modi più efficaci per contribuire a questo nuovo sviluppo è l’informazine. Conclude infatti così Petrini. “Se non ho informazioni a sufficienza, su chi produce, come, a quali condizioni sociali, allora prenditelo tu questo caffè, così dobbiamo ragionare”.


Foto di Mario Virga