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Pubblicato in L'intervento il 18 Settembre2019


(Alessandro Dettori nei vigneti)

Riceviamo e pubblichiamo un articolo scritto da Alessandro Dettori, giovane produttore della Sardegna, da sempre impegnato per la tuela del paesaggio e la valorizzazione dei territori. Dettori, con fare pungente, ma molto interessante, dice la sua su un argomento molto "spinoso"

di Alessandro Dettori

Mai scritto e mai detto che i nostri vini sono naturali. La parola naturale non ci è mai piaciuta. Bandita dopo il primo “Terra e Libertà/Critical Wine” dell’aprile del 2003 a Verona ed il secondo di Dicembre, sempre nel 2003, presso il Leoncavallo a Milano.

Fu proprio la partecipazione a quei due eventi dirompenti (dal 2005 prenderà il nome di “La Terra Trema“) che mi convinse quanto fosse pretestuoso e poco intelligente parlare di “vino naturale“. Argomento appena nato in Italia, ma già dibattuto, negoziato e analizzato più volte in Francia, dove la necessità di fare il vino naturale, nasce dalla esigenza di ritrovare nel bicchiere tutta la propria cultura, fatta anche di spigoli. Da alcuni amici “questo impulso” è stato riassunto come “Il Rinascimento delle denominazioni”. Sono passati sedici anni dal 2003 e oltre venti dall’inizio della mia personale avventura, ma mi sembrano siano passate due ere geologiche. Gli anni difficili sono stati sostituiti dagli anni dell’ovvietà. Prima dovevo stare attento a “svelare” la biodinamica a qualche importatore, per non perderlo. Oppure dovevo dare tutto me stesso per argomentare che il vino sarebbe durato comunque, anche senza solforosa e nonostante le fermentazioni spontanee. Ora, è moda. E’ “naturale” bere il vino “senza lieviti”, “non filtrato”, “non chiarificato”, “politicamente impegnato”, il vino “contro l’industria”, “contro l’enologo”.

Ecco, sta diventando il “vino contro” a prescendere. Ma il più delle volte è contro la propria storia, la propria cultura, il proprio terroir. Questo sta uccidendo i sogni e gli impulsi iniziali. La new-wave dei costruttori di vino naturale con poca esperienza o arguta intuizione commerciale, si sono allontanati dal terroir. Un Terroir nasce dalla vicendevole fusione–unione tra un Luogo ed un Popolo. Per Luogo (antropologico) intendo come sosteneva Augè: “uno spazio che è stato marcato, occupato, simbolizzato, ordinato da una Società”. Un terroir non è figlio di un singolo, ma di una comunità che in un luogo vi ha vissuto anche e soprattutto, senza avere coscienza di ciò. Un terroir è stato amalgamato da gesti quotidiani volti alla sopravvivenza: dal pane fatto per se, al vino fatto per essere commerciato. Il terroir necessita sempre di un vignaiolo. Il vino naturale senza un vignaiolo è un artifizio commerciale o un capriccio. Questa è la nuova via, la nuova sfida: spostare l’attenzione dal metodo – e quindi dalla ricetta – verso la persona che vive di vino: il vignaiolo naturale.

Da quel 2003 ho capito che non avevamo fatto e non volevamo fare il “vino naturale”. Volevamo e vogliamo essere vignaioli naturali e i vignaioli naturali fanno semplicemente vino. Il Vino di terroir che è cultura, non può che essere fatto, nella sua migliore ed autentica espressione, da un vignaiolo naturale che riesce a ridisegnare la cultura del luogo quotidianamente, con la propria Vita.

PS: Per vignaiolo naturale intendo colui che in vigna lavora seguendo i principii, i processi e i metodi che la natura usa per se. Colui che vinifica solo le proprie uve che ha personalmente coltivato. Imbottiglia solo il proprio vino. Determina personalmente o in famiglia le scelte e le decisioni di ogni fase e processo della propria azienda agricola. Vive della sola professione di vignaiolo. Rispetta il lavoro agricolo riconoscendone il valore economico. Produce il proprio vino con i seguenti ingredienti/additivi/coadiuvanti: Uva e pochi solfiti, solo prima dell’imbottigliamento. Il vino deve essere un degno e vero rappresentante della cultura del luogo.

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